La scelta era caduta su Kalabria Coast to Coast, un cammino a piedi di 4 giorni tra il Mar Jonio e il mar Tirreno nella parte più stretta della penisola, entroterra calabro tra Soverato e Pizzo.
Io e Sandro con Marco e Paola ci ritagliavamo spesso qualche giorno per stare insieme e staccare di netto dalla città e dalla quotidianità. Avevamo fatto “viaggi di bici”, “viaggi di mare” e di montagna ma mai “di cammino” come dicevamo in un gioco lessicale tutto nostro.
Il primo giorno era volato tra il mare azzurro di Soverato e le colline, inaspettatamente verdissime, abitate da distese di ulivi secolari, filari di vite e fichi d’india. A Petrizzi, un paese di 746 anime dove eravamo arrivati all’ora di pranzo, eravamo stati accolti con un’ospitalità che ci aveva colpito. Avevamo chiesto a una persona incontrata per strada dove avremmo potuto mangiare. Per tutta risposta lui, Carmine, carabiniere ma anche assessore, aveva preso il telefono e chiamato, nell’ordine, i proprietari dell’unico negozio di alimentari che avevano riaperto lo spaccio solo per noi e il Don, il parroco, che aveva aperto la chiesa per mostrarcela come fiore all’occhiello del posto.
Eccoci lì, sotto un leccio secolare, al centro del paese a chiacchierare con il sindaco, sua sorella, Carmine, il Don e 2 ragazzini con le biciclette.
Il giorno dopo, il cammino ci aveva portato attraverso una faggeta, salendo e scendendo lungo un sentiero attraversato da diversi torrenti ben nutriti di acqua. Non c’era nessuno, sembrava di essere in un mondo antico. Avevamo letto su Google che, in effetti, anche Aristotele era passato per gli stessi sentieri riferendosi al Golfo di Squillace come “all’istmo che fa da frontiera all’antica Italia attraversabile in mezza giornata di cammino”.
La luce filtrava tra i rami, le foglie nuove illuminavano il paesaggio. Sandro era rimasto un po’ indietro. Non era un fatto insolito non vederlo arrivare. Conviveva da qualche tempo con “Alzi”, come ha sempre definito l’Alzheimer che gli era stato da poco diagnosticato, e non era raro che, a tratti, si perdesse nei suoi pensieri.
Stavamo per tornare sui nostri passi quando lo abbiamo notato, nascosto dietro a un albero, il suo sguardo fisso su qualcosa. Ci siamo avvicinati, silenziosi. Un fruscio proveniente da un antro nascosto da una fitta vegetazione aveva attirato la nostra attenzione. Siamo rimasti immobili: due uomini stavano seppellendo un corpo.
Parlavano in un dialetto incomprensibile, a bassa voce, guardandosi intorno nervosamente. Noi, impietriti, riuscivamo addirittura a scorgere il volto del cadavere: si trattava di un uomo tra i 45 e i 50 anni.
Terminato il loro compito i due si erano incamminati per un sentiero secondario senza mai, almeno apparentemente, notare la nostra presenza.
Da quel momento il nostro viaggio era profondamente cambiato e tutte le sensazioni erano state sostituite dallo sgomento e dalla paura. Mai avremmo immaginato di trovarci in una situazione del genere.
Eravamo stati visti? Che fare? Denunciare o tenere per noi quel segreto? Contro ogni aspettativa le nostre posizioni divergevano e un abisso cominciava ad aprirsi tra di noi.
Marco e Paola erano annichiliti dalla paura di ritrovarsi coinvolti in una situazione potenzialmente pericolosa, volevano continuare il cammino, dimenticando quell’orrore per tornare alla normalità. Io e Sandro, invece, sentivamo forte il peso della responsabilità e non potevamo far finta di nulla, denunciare ci sembrava l’unica strada possibile.
Una soluzione condivisa sembrava lontanissima.
Infine, dopo interminabili discussioni, avevamo deciso che fosse il destino a darci la riposta: avremmo estratto a sorte scrivendo su un foglio POLIZIA e sull’altro CAMMINO.
Marco aveva estratto il pezzo di carta, c’era scritto CAMMINO.
Accompagnati da un silenzio pesantissimo, avevamo ripreso a muoverci.
Il giorno seguente non c’era neanche l’ombra dello spirito di avventura, la leggerezza dello stare insieme, la bellezza del paesaggio.
Stavamo seguendo il nostro itinerario finche’ davanti a noi, lungo la strada provinciale, era comparsa una pattuglia dei carabinieri.
Mi ricordo come fosse adesso la loro richiesta di mostrargli i documenti e di dirgli dove eravamo diretti.
Un attimo, uno scambio di sguardi e poi Sandro, spiazzandoci totalmente, aveva incominciato a raccontare tutto ricostruendo la scena nei minimi dettagli.
Altro che “Alzi”, era super concentrato. Il suo sguardo era tornato improvvisamente acuto, le sue parole erano fluide e appropriate e, soprattutto, era diventato rosso, un suo segno distintivo quando si infervorava nelle discussioni che lo coinvolgevano profondamente.
Arrivati i rinforzi, chiamati dalle forze dell’ordine, li avevamo guidati sul luogo del delitto.
Una volta raggiunto il posto però non c’era più nulla: nessun cadavere, nessuna traccia, nessun segno di quello che avevamo visto.
Avevamo sognato? Sandro ci aveva contagiati? Si era trattato di un’allucinazione collettiva?
Ci siamo guardati, increduli, poi abbiamo riso. Un riso nervoso e liberatorio. Era finita.
Abbiamo concluso il cammino ma con Paola e Marco abbiamo smesso di vederci.
𝑽𝒊𝒗𝒊𝒂𝒏𝒂 𝑺𝒂𝒓𝒂𝒄𝒆𝒏𝒊 – 𝑹𝒐𝒎𝒂