Una storia tra malaffare e leggenda
Nel mese di dicembre l’Associazione naturalistica “Inachis-Calabria”, accompagnata da una comitiva di nuovi amici e vecchie conoscenze, decide di intraprendere un sentiero che da Colle dell’Esca, posto nei territori ombrosi della Sila Greca, porta giù a valle verso il borgo di Longobucco: un’esperienza sensoriale a stretto contatto con la natura.
Una volta intrapreso il cammino rimaniamo incantati fin da subito dal fenomeno delle “galaverne” ovvero dei depositi di ghiaccio aghiformi prodotti dalla nebbia, che creano un effetto di un paesaggio tutt’intorno candido e bianco, come le sfere con la neve che tanto da bambini ci ammaliavano.
La natura e i territori che ci circondano, non sono solo terra che calpestiamo, alberi che ci avvolgono nella penombra o acqua che rappresenta la vita, ma anche storie, alcune condite dal malaffare del passato, come quella del bosco dell’Erbuzzietto, che negli anni è stato vittima di incendi dolosi e disboscamenti selvaggi. Tutto ciò ha creato una ferita aperta per gli abitanti del posto, anche se l’opera dell’uomo benevolo (ancora non del tutto estinto) ha portato ad un rimboscamento di oltre 16 mila piante, tra cui il faggio, il pino laricio, l’abete bianco e rosso.
L’Erbuzzietto rimane ancora uno dei punti panoramici di quei territori, dove la vista si perde nell’azzurro del Mar Jonio e nei centri abitati di Calopezzati e Pietrapaola, riuscendo a scorgere il letto dell’ostile fiume Trionto. Questa fiumara è una delle più lunghe d’Europa che conquista l’occhio del visitatore con le sue magiche gole, tipiche di questi corsi d’acqua.
“Scuracabaddu anche i cavalli si sono battuti picchiati”: riemerge così nella nostra discesa quest’antico detto conservato in lingua vernacolare, che ci riporta ad una battaglia consumatasi fra sibaritidi e crotoniati, nei territori di “Scerravaddu”, frazione di Crosia, uno dei territori che appunto riusciamo a scorgere fra i tanti che il panorama ci offre.
Il sentiero diventa dapprima teatro del maestoso pino laricio e poi mano a mano che si perde quota, circondati dalla presenza di storici e imponenti castagni, si conquista la tipica varietà della macchia mediterranea che solo la Sila riesce a offrire, fino ad arrivare a “Fragapico”. Questa località oltre ad essere un punto d’avvistamento sul mare, contiene ancora alcuni resti di antiche abitazioni in pietra di una colonia greca, sfruttata all’epoca per la fiorente presenza di miniere argentifere, che hanno fatto di quei territori una potenza economica per secoli. Alcuni narrano, fra verità e leggenda, che la grandezza di Sibari dell’epoca era dovuta ai giacimenti di Longobucco, ma questa è un’altra storia.
“In quel momento, Longobucco mi apparve come una di quelle città di sogno delle Mille e una notte, evocate per magia nell’immensità del deserto”. Ora provate a chiudere gli occhi e ad immaginare cosa potrebbe significare per voi, dopo ore estenuanti di cammino su strade poco sicure (per via del brigantaggio che all’epoca imperversava) e avvolte da tutte le difficoltà della natura, vedere un piccolo borgo in lontananza. La sensazione più verosimile potrebbe essere quella di avere le traveggole e probabilmente è quello che pensò Norman Douglas quando poi scrisse questo celebre passo contenuto in “Vecchia Calabria”. Questo libro è una delle opere più importanti che mette a nudo la nostra regione nei più piccoli anfratti, facendo riemergere tutti gli usi e i costumi di un tempo.
La nostra storia volge al termine. Una volta che la vista del paesino si fa sempre più vicina immaginiamo l’odore della legna dei camini che arde nei focolari e il profumo delle squisite pietanze tipiche degli abitanti. Diamo le spalle all’abitato, con la millenaria torre Campanaria o “U Pupulu eru Campanaru”, che rappresenta un’epoca che non c’è più ma che conserva ancora le orme. Riusciamo a guadagnare l’entrata del borgo, fra le viuzze silenziose dove l’odore che immaginavamo diventa una deliziosa realtà.
Una volta intrapreso il cammino rimaniamo incantati fin da subito dal fenomeno delle “galaverne” ovvero dei depositi di ghiaccio aghiformi prodotti dalla nebbia, che creano un effetto di un paesaggio tutt’intorno candido e bianco, come le sfere con la neve che tanto da bambini ci ammaliavano.
La natura e i territori che ci circondano, non sono solo terra che calpestiamo, alberi che ci avvolgono nella penombra o acqua che rappresenta la vita, ma anche storie, alcune condite dal malaffare del passato, come quella del bosco dell’Erbuzzietto, che negli anni è stato vittima di incendi dolosi e disboscamenti selvaggi. Tutto ciò ha creato una ferita aperta per gli abitanti del posto, anche se l’opera dell’uomo benevolo (ancora non del tutto estinto) ha portato ad un rimboscamento di oltre 16 mila piante, tra cui il faggio, il pino laricio, l’abete bianco e rosso.
L’Erbuzzietto rimane ancora uno dei punti panoramici di quei territori, dove la vista si perde nell’azzurro del Mar Jonio e nei centri abitati di Calopezzati e Pietrapaola, riuscendo a scorgere il letto dell’ostile fiume Trionto. Questa fiumara è una delle più lunghe d’Europa che conquista l’occhio del visitatore con le sue magiche gole, tipiche di questi corsi d’acqua.
“Scuracabaddu anche i cavalli si sono battuti picchiati”: riemerge così nella nostra discesa quest’antico detto conservato in lingua vernacolare, che ci riporta ad una battaglia consumatasi fra sibaritidi e crotoniati, nei territori di “Scerravaddu”, frazione di Crosia, uno dei territori che appunto riusciamo a scorgere fra i tanti che il panorama ci offre.
Il sentiero diventa dapprima teatro del maestoso pino laricio e poi mano a mano che si perde quota, circondati dalla presenza di storici e imponenti castagni, si conquista la tipica varietà della macchia mediterranea che solo la Sila riesce a offrire, fino ad arrivare a “Fragapico”. Questa località oltre ad essere un punto d’avvistamento sul mare, contiene ancora alcuni resti di antiche abitazioni in pietra di una colonia greca, sfruttata all’epoca per la fiorente presenza di miniere argentifere, che hanno fatto di quei territori una potenza economica per secoli. Alcuni narrano, fra verità e leggenda, che la grandezza di Sibari dell’epoca era dovuta ai giacimenti di Longobucco, ma questa è un’altra storia.
“In quel momento, Longobucco mi apparve come una di quelle città di sogno delle Mille e una notte, evocate per magia nell’immensità del deserto”. Ora provate a chiudere gli occhi e ad immaginare cosa potrebbe significare per voi, dopo ore estenuanti di cammino su strade poco sicure (per via del brigantaggio che all’epoca imperversava) e avvolte da tutte le difficoltà della natura, vedere un piccolo borgo in lontananza. La sensazione più verosimile potrebbe essere quella di avere le traveggole e probabilmente è quello che pensò Norman Douglas quando poi scrisse questo celebre passo contenuto in “Vecchia Calabria”. Questo libro è una delle opere più importanti che mette a nudo la nostra regione nei più piccoli anfratti, facendo riemergere tutti gli usi e i costumi di un tempo.
La nostra storia volge al termine. Una volta che la vista del paesino si fa sempre più vicina immaginiamo l’odore della legna dei camini che arde nei focolari e il profumo delle squisite pietanze tipiche degli abitanti. Diamo le spalle all’abitato, con la millenaria torre Campanaria o “U Pupulu eru Campanaru”, che rappresenta un’epoca che non c’è più ma che conserva ancora le orme. Riusciamo a guadagnare l’entrata del borgo, fra le viuzze silenziose dove l’odore che immaginavamo diventa una deliziosa realtà.
Testo e foto: Ass. Inachis Calabria-Castrolibero
www.inachis.org | [email protected]