Erano gli anni sessanta, i cosi detti anni del boom economico, ovvero, gli anni del lento abbandono della montagna per raggiungere le città e le fabbriche. Anche il paese di Renato, un paesino fra i monti, a circa mille metri d’altezza, aveva seguito la stessa sorte e nel giro di pochi anni si era praticamente svuotato. Uomini e donne se ne erano andati, ed in paese erano rimasti solo anziani e uno sparuto gruppo di famiglie con figli. I ragazzi del posto diventavano sempre di meno ed un anno, la formazione della locale squadra di calcio, del gruppo sportivo dell’oratorio fu a rischio. Pertanto, anche Renato arrivò a far parte della squadra di calcio oratoriale, certamente lui non aveva un fisico d‘atleta, era decisamente in sovrappeso e piuttosto goffo nei movimenti, ma era di fatto indispensabile, per raggiungere una formazione con undici calciatori.

Una formazione dalla divisa molto semplice, nata dalla necessità di risparmiare, per fare in modo che ognuno potesse provvedere a realizzarsela da solo: calzettoni bianchi, pantaloncini neri e maglietta bianca. Non tutti i giocatori avevano le scarpette con i tacchetti, quelle rimaste in oratorio non erano sufficienti per tutti ed alcuni dovettero provvedere con scarpe proprie, ovviamente Renato era fra quelli che ne erano sprovvisti, ma la cosa non scalfì il suo entusiasmo. Renato, era contento ed orgoglioso, di essere entrato a far parte della squadra di calcio del paese e non appena sua madre gli consegnò calzoncini e maglietta, corse subito ad indossarli nella camera dei suoi, per rimirarsi nello specchio dell’armadio. Davanti allo specchio, con la divisa della sua squadra, Renato incominciò a fantasticare, ad immaginare un futuro sui campi di calcio, che lo avrebbero visto protagonista di azioni brillanti e goal stupefacenti.

Il campionato ebbe inizio e come tutti gli anni, vedeva sfidarsi fra di loro, le squadre degli oratori della loro vallata e delle vallate più vicine; le trasferte della squadra di Renato avvenivano quasi sempre a piedi ad eccezione dei paesi più lontani, in quei casi, ma solo in quei casi, si utilizzava l’autobus. L’allenatore della squadra di calcio di Renato, uno dei pochi uomini rimasti in paese, possedeva alcune mucche da latte e produceva piccole quantità del tipico formaggio a pasta semicotta di quelle zone di montagna. Si chiamava Toni, e anche se faceva il pastore, era più responsabile di un vero tecnico, allenava sul modo di comportarsi oltre allo stile di gioco, e anche se la priorità del gioco era di vincere, prima di tutto, insegnava ad imparare a stare insieme e a rispettarsi gli uni con gli altri. Grazie a Toni ed ai suoi insegnamenti, ma anche alle loro famiglie di provenienza, semplici e povere, la squadra era composta da ragazzi che sapevano comportarsi bene, ragazzi educati e rispettosi.

Il campionato ebbe inizio e Renato, quando era sul campo di calcio, cercava di dare il massimo, gli avevano assegnato il ruolo di difensore, un ruolo che accettò con piacere; certo avrebbe preferito fare l’attaccante, ma anche come terzino si sarebbe distinto, avrebbe compiuto azioni prodigiose, evitando alla sua squadra di subire delle reti. Quando gli avevano comunicato quale sarebbe stato il suo ruolo, a casa, aveva cominciato a documentarsi su chi erano i calciatori famosi, che ricoprivano il ruolo di difensori nelle squadre della serie A, calciatori come Guarnieri, Maldini, Burgnich, Facchetti, calciatori che divennero suoi idoli. Però’, una cosa era fantasticare ed un’altra la realtà dei fatti. Aveva già giocato, se così si poteva dire, alcune partite sia in casa che in trasferta e vide che non era facile raggiungere i risultati che aveva fantasticato. Si era reso conto, di non essere ancora riuscito, neppure una volta, a toccare il pallone, eccetto quando lo andava a raccogliere perché finiva fuori campo, inoltre, aveva l’impressione, che quando la sua squadra subiva dei goal, talvolta, uscissero delle imprecazioni a mezza bocca da parte dei compagni. Compagni che a lui piacevano molto, li sentiva amici e poi erano sempre molto gentili con lui, forse anche troppo, con lui non parlavano molto di calcio, preferivano affrontare altri argomenti e anche durante gli allenamenti, a volte, gli pareva che lo escludessero da certi esercizi. Fortunatamente possedeva un bel carattere, era un inguaribile ottimista, nonostante vivesse una situazione di scarso rendimento sportivo, era sempre convinto che prima o poi si sarebbe riscattato e avrebbe raggiunto quei traguardi calcistici che aveva sognato.

Purtroppo, gli eventi sul campo lo vedevano sempre soccombere, non gli riusciva mai di bloccare gli avversari, i quali lo scansavano con facilità e correvano più veloci di lui, inoltre, a volte capitava, che qualche centrocampista della sua squadra indietreggiasse verso la loro porta, quasi a sostituirlo nel suo ruolo di difensore. Andava convincendosi che forse non era proprio un campione, ma l’idea che prima o poi, sarebbe riuscito ad essere protagonista di qualche azione calcistica spettacolare, non lo abbandonava mai.

Ogni volta che finiva una partita, per quanto, come sempre non avesse toccato palla, lo accompagnava sempre la speranza che quella successiva sarebbe stata la partita giusta. Oltretutto, i suoi compagni credevano in lui, o almeno così pensava, perché quando la squadra vinceva, si complimentavano con lui per il risultato, sottolineando che s’era trattato di un lavoro di squadra e che il risultato comprendeva anche il suo contributo. Solo quando perdevano, li vedeva un po’ nervosi e a volte un pochino sgarbati, in quei casi, spesso interveniva Tonio per sottolineare che, prima di tutto, si giocava per divertimento e per fare dello sport e poi, ma solo secondariamente, anche per vincere.

Una domenica pomeriggio, finalmente Renato senti che era arrivato il suo giorno, che era arrivata quella partita che l’avrebbe incoronato protagonista della giornata. Quel giorno capitò qualcosa di incredibile, l’attaccante avversario possedeva la palla e stava correndo verso la porta con l’intento di calciare, quando Renato lo affrontò e miracolosamente riuscì a togliergli il pallone. Ora era Renato ad avere il possesso di palla, un suo compagno gli chiese di passargliela, ma era il suo momento, era il momento in cui lui aveva il possesso palla e incominciò a correre con la palla verso la porta avversaria. Fronteggiò diversi avversari, ma li superò con facilità, fu cosi che raggiunse la metà campo, per poi arrivare addirittura nell’area di rigore, davanti alla porta c’era rimasto solo il portiere avversario che anziché impostarsi per difendere la porta, fece l’errore di allontanarsi dalla porta, Renato decise di giocare il tutto per tutto, calciò e fu goal. Aveva fatto goal, fu un momento di vera e propria estasi, il grido di “goal” gli uscì come un boato, alzo le braccia in segno di vittoria, finalmente il suo giorno era arrivato, era arrivato il giorno che lo ripagava di tutta la frustrazione che aveva accumulato in tutte le partite precedenti. Renato, dopo l’urlo si girò, per cogliere il plauso dei suoi compagni e dei tifosi ma quando si voltò vide, con stupore, il portiere avversario di spalle che continuava ad incamminasi nella direzione che aveva intrapreso ancor prima che lui calciasse e poi si accorse che i calciatori non stavano più giocando, anzi lo stavano guardando da fuori campo e …ridevano…ridevano …ridevano …

Anche Tonio, con difficoltà cercò di restare serio, mentre gli spiegava, che non si era accorto del fischio di fine partita dell’arbitro e nemmeno delle grida dei compagni che lo avvisavano. Lui, mentre la partita era terminata, aveva proseguito con foga nella sua azione, senza incontrare ostacoli e calciando a porta vuota. Renato, tristemente si incamminò verso gli spogliatoi dando uno sguardo al cartellone con il risultato della partita, il cartellone confermava che quel giorno non c’erano state delle reti, la partita era finita in pareggio, a porte inviolate. Negli spogliatoi, tutti furono gentili e carini con lui, nessuno fece accenno alla brutta figura che aveva fatto, quello che lo infastidiva era che spesso, quando lo guardavano, poi non riuscivano a trattenersi dal ridere. Una volta che si furono rivestiti si incamminarono per il ritorno in paese, durante il percorso, Toni propose di prendere una scorciatoia fra i boschi per far ritorno più in fretta, raccomandando di muoversi con attenzione sul sentiero, poiché in diversi punti si affacciava su dei dirupi. Il gruppo procedeva in modo ordinato e i ragazzi parlavano fra di loro ma a volte spostavano lo sguardo verso Renato e cercando di non farsi vedere, si mettevano a ridere. Renato, si accorse che i suoi compagni e lo stesso Toni, per quanto gentili con lui come sempre, cercavano di evitarlo, perché non appena lo guardavano in faccia non riuscivano a trattenere il riso. Il sentiero era ripido e stretto e Renato, per evitare di incrociare gli sguardi dei compagni e le inevitabili risa, si lasciò superare da tutti, rimanendo l’ultimo della fila. Erano quasi arrivati al paese quando si accorsero dell’assenza di Renato, a nessuno venne voglia di mettersi a ridere, tutti tornarono sui loro passi, gridando a squarciagola il suo nome. Toni mandò i ragazzi in paese per chiedere aiuti e per tutta la sera e la notte, insieme ai pochi compaesani, perlustrarono con delle torce nel buio del bosco, ripercorsero più volte il sentiero, ma Renato non si trovava. Il mattino dopo il paese era in pieno allarme, arrivarono i vigili del fuoco, arrivarono i carabinieri, e per diversi giorni, perlustrarono tutta la zona, purtroppo senza risultati. Quell’anno la squadra del gruppo sportivo del paese dovette ritirarsi dal campionato locale di calcio, non erano in grado di presentare una formazione con undici calciatori e dovettero ritirarsi. Erano rimasti solo in dieci, dell’undicesimo calciatore nessuno seppe più niente.

Angelo Reccagni, Cornegliano.

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