“Io non mangio per vivere ma vivo per mangiare” .

Questa frase potrebbe essere il motto di Arturo .
La fame, la brama di riempire lo stomaco , il desiderio di alimentarsi lo manifesto sin dalla nascita .
Il latte materno non gli bastava mai, terminata la poppata , ritornava a piangere e non voleva
staccarsi dal seno. Bruciò i tempi dello svezzamento imparando prestissimo a mangiare
autonomamente e soprattutto a mangiare tanto . Arturo crescendo e soprattutto mangiando, non
divenne certo un bambino filiforme anzi era decisamente in sovrappeso, forse non era obeso, ma
grasso certamente si ! Incomicio ad avere problemi per via della sua costituzione in terza
elementare, quando i suoi compagni di classe lo soprannominarono
“ TREBÙ ’’.
Lui, non riusciva a capire il senso di quel soprannome che gli avevano affibbiato e decise di
chiedere ad un compagno , a suo avviso uno dei più “umani “ , delle spiegazioni.
Il compagno “umano” iniziò ridendo a declamare la filastrocca che li aveva ispirati per quel
soprannome e la filastrocca faceva così :
Ciccio bombolo cannoniere
Con TRE BUchi nel sedere
Con TRE BUchi nella pancia
Ciccio bombolo va in Francia
Ecco ! Era un diminuitivo di “CICCIO BOMBOLO”!!!

NON C’ERA RISPETTO

Passo qualche annetto e Arturo alias TREBÙ si ritrovo alle medie , al soprannome TREBU’, alla
fine si era abituato e non ci faceva caso più di tanto. A scuola non andava benissimo ma comunque
se la cavava, mantenendosi sempre sulla sufficienza , non praticava nessuno sport e continuava ad
essere decisamente in sovrappeso, il cibo era sempre al centro dei suoi interessi . Alle medie, aveva
un insegnante di lettere molto carismatico, un tipo che sapeva affascinare gli alunni quando leggeva
racconti, declamava le poesie o spiegava fatti storici, inoltre era anche il cronista sportivo
del giornale locale. Scriveva soprattutto di calcio e al Lunedì , fra l’entusiasmo degli alunni ,
dedicava l’ora di conversazione, agli episodi calcistici della domenica precedente , l’ora di
conversazione era animata, i ragazzi intervenivano , commentavano i vari goal, discutevano sulle
azioni controverse , sostenevano l’una o l’altra squadra .
Arturo , nell’ora di conversazione calcistica non interveniva mai, non era interessato al calcio e non
avendo niente da dire, se ne stava zitto in disparte, e forse, questo suo estraniarsi da un argomento
così interessante , aveva probabilmente infastidito il suo l’insegnante. Fu cosi che il professore , un
giorno, guardandolo con un certo sarcasmo, di colpo si rivolse a lui dicendogli << e tu ! “ PACIA
RISOT “ , non hai guardato le partite ieri ?.. >>
Il termine “PACIA RISOT “ cioè “ mangia risotto “, rendeva bene l’idea delle abbondanti forme di
Arturo e suscitò una incontenibile ilarità fra i suoi compagni che da quel giorno smisero di
chiamarlo “TREBÙ” , ribattezzandolo
“PACIA RISOT”

NON C’ERA RISPETTO

Finiti i tempi della scuola , Arturo andò a lavorare in una fabbrica tessile , si trattava di un lavoro
manuale ma pulito , operava tutto il giorno con filati di lana e di cotone, era un lavoro che
richiedeva soltanto di indossare un camice nero sopra i propri vestiti.
In fabbrica , la mano d’opera era composta principalmente da donne, e fra le varie le colleghe, ad
Arturo piaceva Luciana. Luciana era l’opposto di Arturo, mentre lui parlava poco ed era
decisamente grassottello , lei era chiacchierona e longilinea .
Arturo non le staccava gli occhi di dosso , rimirando continuamente quei suoi bellissimi occhi
azzurri e quei capelli castano chiari , lunghi ed un po’ mossi. Quando Luciana lo guardava, o
meglio, quando lei sentendosi insistentemente fissata lo guardava e gli sorrideva , lui era portato a
pensare che anche lei nutrisse verso di lui , le stesse emozioni , ma in realtà, quel sorriso , era
semplicemente dettato da un sentimento di compatimento e di pena. Arturo, che amava definirsi
non grasso ma di costituzione robusta, era fermamente intenzionato a conquistare Luciana, al punto
di intraprendere una ferrea dieta ipocalorica, cosa per lui alquanto dolorosa , ma alleviata dal
pensiero di lei.
Inoltre , per attrarre ancora di più la sua attenzione , iniziò a vestirsi con una certa cura, sotto il suo
camice nero, spesso faceva capolino il nodo di una cravatta e quando entrava o usciva dalla ditta,
cominciò a sfoggiare due belle giacche ed un elegante soprabito blu scuro.
Fu così, che scopri che avevano cominciato a chiamarlo “PIPPO” , ancora una volta gli avevano
affibbiato un soprannome , la cosa gli dava un certo fastidio, soprattutto per la figura che ci faceva
nei confronti di Luciana. Luciana , in quei giorni gli sembrava un po’ cambiata , gli era parso che
quando si sentiva osservata, lo guardava e gli sorrideva come al solito ma gettava anche uno
sguardo di intesa alle sue amiche e tutte si mettevano a ridere..
Perché poi lo chiamassero PIPPO , non riusciva a coglierne il senso ed allora lo chiese
“confidenzialmente” ad un suo collega di lavoro, il quale trattenendosi a fatica dal ridere, gli
canticchio un ritornello che faceva più o meno cosi
Ma PIPPO, PIPPO non lo sa
che quando passa ride tutta la città
si crede bello
come un Apollo
e saltella come un pollo
ma PIPPO, PIPPO non lo sa
che quando passa ride tutta la città ….

NON C’ERA RISPETTO

Capi di essere diventato lo zimbello della ditta, provo vergogna e si licenziò, giusto il giorno in cui
Luciana aveva deciso di annunciare ai colleghi , le sue imminenti nozze con un certo Giacomo e
distribuire dei sacchettini di confetti , ce n’era uno pronto anche per lui. Arturo tornò avidamente ai
suoi pasti ipercalorici e si trovò un nuovo impiego , consisteva in un lavoro molto pesante, si
trattava di una catena di montaggio in una ditta metalmeccanica , non era un bel lavoro, ma era pur
sempre un posto di lavoro …
Il caporeparto era una persona molto sgarbata, pretenziosa e polemica , il ritmo di lavoro frenetico.
Ogni turno durava otto ore , con una pausa di venti minuti per un boccone e per il bagno, staccarsi
dalla catena per andare in bagno o a bere al di fuori della pausa, non era visto di buon occhio. Il
lavoro era faticoso e l’età avanzava , presto sarebbero arrivati gli anni per la pensione ma nel
frattempo, vennero preceduti da dei brutti disturbi della vescica, che lo obbligavano a correre in
bagno,almeno un altro paio di volte oltre alla pausa.

Presentò un certificato medico alla direzione ed ottenne il permesso di andare ai sevizi ogni
qualvolta ne avesse avuto bisogno.
Il caporeparto, ricevuto l’avviso dalla direzione, in merito alle necessita di Arturo, comunico a tutto
il reparto le sue condizioni di salute, chiarendo che solo lui , poteva utilizzare con maggiore
frequenza il bagno , perché lui era uno “PISCIALETTO “. .
Da quel momento, i colleghi , quando parlavano di lui , non lo chiamavano più Arturo ma Arturo
Alias … PISCIALETTO.

NON C’ERA RISPETTO

Arrivò la pensione, Arturo organizzo le sue giornate , decidendo di dedicare il mattino agli acquisti,
principalmente mirati alla preparazione del pranzo, al giornale e al bar per il caffè .Abitava in una
piccola frazione e per queste sue necessità , doveva raggiungere in auto il vicino paese .
Quando in passato andava al lavoro, uscendo al mattino e tornando la sera, trovava il cortile
condominiale sempre libero e l’ingresso e l’uscita dal suo box non presentava problemi.
Con la pensione i suoi orari erano cambiati, scopri così che il suo vicino , per abitudine, al mattino
toglieva la macchina dal box e la lasciava nel cortile tutto il giorno , proprio davanti al suo box, con
lo scopo di usarla durante la giornata , senza la scocciatura di entrare ed uscire dalla rimessa.
Ora, quell’auto , peraltro piuttosto ingombrante, gli condizionava fortemente lo spazio di manovra,
obbligandolo ad effettuare forzate e ripetute sterzate, cambi di marcia, retromarce e attenzioni
varie. Operazioni che gli costavano una certa fatica , anche a causa del suo aumento di peso,
conseguenza del rimanere molto tempo in casa e con un frigorifero ben fornito a disposizione .
Gentilmente , fece in modo di incontrare il vicino e cortesemente gli chiese, di non parcheggiare
nel cortile condominiale , per le oggettive difficoltà che la sua auto gli creava nell’ uscire e nel
rientrare dal prprio box. L’uomo non gli rispose, lo guardò dall’alto in basso, accenno un sorriso
sarcastico, fece un’alzata di spalle e se ne andò..
Arturo lasciò passare qualche giorno, poi, visto che il vicino continuava a fare i suoi comodi , lo
affrontò un’altra volta , questa volta, con toni un po’ più seccati , nuovamente gli chiese la cortesia
di non parcheggiare davanti al suo box ma ancora una volta non ottenne risposta , l’uomo
si limitò ad un cenno con il capo, e se ne andò . L’incomprensibile cenno con il capo del vicino,
ebbe modo di capire che non era un cenno di assenso, poiché l’auto, anche nei giorni successivi
era come sempre, sfacciatamente parcheggiata in cortile davanti al suo box.
Arturo cominciava ad essere nervoso per la situazione , a volte, rientrato a casa, dopo aver messo
con difficoltà la sua auto nel box , guardava giù dalla finestra e vedeva che quella maledetta
macchina era sempre li. Una mattina , si affacciò per l’ennesima volta alla finestra, contemplo per
l’ennesima volta quell’auto, come sempre sfrontatamente parcheggiata nel cortile e si senti
ribollire il sangue , capi che non ce la faceva più, capi che si era stancato, capi che era ora di finirla.
Arturo scese, usci dal box con la sua auto , schiacciò con forza l’acceleratore centrando in pieno il
veicolo parcheggiato davanti al suo ingresso, poi continuò , effettuando una serie di manovre per
uscire , ad urtare di volta in volta e violentemente quell’ostacolo che perennemente gli si parava
davanti .Il proprietario della macchina, avvisato dai vicini , di quanto stava succedendo , scese in
cortile e gli corse incontro minaccioso. Arturo, quando lo vide , non esitò , spinse il piede
sull’acceleratore investendolo in pieno e salendo con la macchina sopra il suo corpo e mentre
quello urlava di dolore, lui con calma, mise la retro passandogli sopra un’altra volta e un’altra volta
ancora , rifacendo la stessa operazione quattro o cinque volte. Cadde un pesante silenzio , sotto lo
sguardo dei condomini ammutoliti, il vicino aveva smesso di lamentarsi.
Arturo scese dalla sua macchina e dopo aver guardato, con un mezzo sorriso, quel corpo esamine a
terra , si tolse dalla tasca una barretta di Cioccociok , la scartò, inizio a masticarla e si avvio
tranquillamente verso il suo appartamento.

NON C’ERA RISPETTO

𝑨𝒏𝒈𝒆𝒍𝒐 𝑹𝒆𝒄𝒄𝒂𝒈𝒏𝒊, 𝑪𝒐𝒓𝒏𝒆𝒈𝒍𝒊𝒂𝒏𝒐 𝑳𝒂𝒖𝒅𝒆𝒏𝒔𝒆 (𝑳𝒐𝒅𝒊)

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