“Wow! Si! È lei!
È la sua macchina! Lo sapevo!
La mattina viene qui!
Adesso, però, calma e sangue freddo!
Devo entrare con indifferenza, come se venissi qui ogni mattina, come effettivamente faccio, e come se l’intruso fosse lei……
Cavolo ci sono poche macchine e nessuna appartiene a quei barboni che le corrono dietro!
E vaaiiii! Oggi me la gioco alla grande!!!”.
Purtroppo per lui, Vito aveva effettuato questa disamina della situazione, mentre stava parcheggiando la sua auto nell’area recintata della Tenuta Serreto, a voce alta e con i finestrini aperti.
Non appena ebbe, però, superato la 500 bianca di Tina, ed un’altra auto posta alla destra di quest’ultima, il giovane non fece in tempo a parcheggiare la sua macchina che la bionda tormentatrice dei suoi sogni aprì la sua portiera sinistra e, con il cellulare all’orecchio, si diresse spedita al giardino di ingresso della piscina!
Se ci fosse stato qualcuno ad osservare Vito in quel momento, avrebbe visto la sagoma di un essere umano, seduta al posto di guida della propria autovettura, letteralmente impietrita!
Il giovane ripassò in rassegna, nella sua mente, quegli ultimi secondi.
Le scene che aveva visto, le parole che aveva detto e cercò, al contempo, di rievocare il volume della voce con la quale, lui, aveva parlato.
Immobile e quasi trattenendo il respiro, Vito, trovò un po’ di conforto nell’immagine dei finestrini chiusi della macchina di Tina.
I quali, unitamente, alla conversazione al telefono della stessa, dovevano averle precluso la facoltà di udire i propositi del suo spasimante.
Perlomeno Vito volle convincersi di questo.
Ora però bisognava muoversi.
Lei, probabilmente, non lo aveva nemmeno visto, impegnata com’era a conversare al telefono.
Anche se, quest’ultimo pensiero, tolse quel po’ di ristoro che si era radicato nell’anima del giovane.
Perché Vito traspose, nella posizione di osservazione che aveva dovuto avere Tina poco prima; l’immagine di lui che, nel girare attorno al recinto di legno, subito dopo la salita, si era sporto, con tutta la testa, fuori dal finestrino per osservare “famelicamente” l’auto di lei.
Il giovane si biasimò per cotanta sbadataggine.
“Si, ok! Però io stavo osservando attentamente la zona del parcheggio per trovare un posto…”.
Vito volle convincersi di questa sua interpretazione dell’accaduto che, effettivamente, poteva avere una sua base concettuale e fattuale solida.
Ed allora, presi asciugamano ed occhialini da sole, lo spasimante scese dall’auto e si diresse, convinto e motivato, all’entrata della piscina.
Pochi metri attraverso il vialetto di ciottoli, costellato da curati e squadrati cespugli di rose, ed il giovane vide crollare, miseramente, tutti i suoi propositi di conquista.
Tina aveva, difatti, appena occupata la sdraio vicino a quella di Gennaro…!
Ed, allora, ecco svelato l’arcano.
Lei era al telefono con lui, poco prima nel parcheggio, in quanto non avendone intravista l’auto, lo aveva chiamato.
Il nano malefico tatuato con le ciglia e la barbetta curate, invece, per fare lo splendido, era venuto in bici e le aveva confermato di essere già a bordo vasca a prendere il Sole.
Vito stette, per un istante che gli sembrò eterno, sul punto di girarsi e di andarsene.
Però, oramai, lei lo aveva visto e sparire, così, di punto in bianco, avrebbe significato palesare a lei e, forse, al mondo intero, i suoi sentimenti più reconditi.
Ed allora bisognava andare avanti.
D’altronde nessuno sapeva. E non c’era alcun problema di sorta per uno che, in piena estate, se ne andava a fare due tuffi in piscina.
Perciò Vito ingoiò il boccone amaro e si diresse verso il locale bar a bordo vasca, laddove solitamente versava la quota di ingresso alla cassiera e le indicava, poi, quale ombrellone dovesse aprire.
Stranamente, però, non c’era nessuno.
Vito rimase un attimo interdetto da questa anomalia, ma poi, guardando tutta già in acqua o sulle sdraio, ritenne che, forse, il personale di piscina era, momentaneamente, rientrato nella struttura.
Comunque, importava poco, perché lì, lui era di casa ed avrebbe saldato il dovuto in un secondo momento.
Vito decise, allora, di sistemarsi da solo e, manco a dirlo, ovviamente, il giovane scelse una posizione diametralmente opposta a quella di colei che gli aveva spezzato il cuore per l’ennesima volta.
Come sempre, però, il destino parve volersi burlare di lui e, non appena, si fu posizionato nella sua zona, il giovane non fece a tempo a girarsi che si trovò Tina dinanzi ai suoi occhi!
“Vito ciao – disse lei sorridente – anche tu qui, vedo. Perché non ti vieni a mettere vicino a noi. Siamo io e Gennaro Doria, tu lo conosci, no?!?
Ha organizzato lui che conosce il posto. Tra poco dovrebbero arrivare anche gli altri”.
Vito fece in tempo solo a vedere gli occhi “infuocati” di Gennaro che lo fissava da lontano e che lo faceva sentire come fosse un ospite decisamente indesiderato.
Però la sorpresa di avere tanta considerazione da Tina, gli fece davvero piacere: “Ciao Tina, grazie, chi siete? Sai com’è, non vorrei occupare il posto di qualcuno.”
Il giovane cercò di mascherare il turbinio di emozioni che sentiva vibrare dentro di sé.
“Maria Teresa, Vitaliano, Antonio, Anna Clelia…questi” rispose Tina.
Vito stava per assecondare l’insperata ed allettante richiesta della bionda e formosa protagonista dei suoi sogni; quando, però, intravide, nuovamente, lo sguardo “fiammante” con il quale Gennaro stava inviando strali ed anatemi nei suoi confronti.
Vito percepì subito che il suo “malefico” concorrente non lo volesse tra i piedi, così come ebbe la sensazione, per lui fantastica, che Tina non volesse restare da sola con Gennaro, perlomeno fino all’arrivo degli altri.
Ciò nonostante, però, Vito ritenne che doveva guadagnare tempo, anche per vedere tutta la comitiva che stava giungendo.
Così, ne approfittò per spararsi un po’ la posa: “A dire il vero- rispose lo spasimante- dovrebbe arrivare un’amica…
Magari aspetto prima lei e, se non riesce a liberarsi, vi raggiungo”.
“Certamente – rispose Tina- oppure, appena viene anche lei, ci raggiungete. È una che conosciamo?”.
Al giovane non parve vero che Tina volesse sapere chi fosse la ragazza in arrivo.
“No- bofonchiò il giovane- è un’amica di fuori, non è mai venuta da queste parti.”.
“Va bene, allora- sorrise lei – appena viene raggiungeteci, oppure vieni tu se lei non dovesse arrivare”.
Il giovane sorrise a trentadue denti, preoccupandosi, però, subito dopo, di aver eccessivamente mostrato interesse verso di lei ed il suo invito.
Tina, nel frattempo, si era mossa, sinuosa e delicata, verso il suo posto e Vito, dopo averla guardata camminare, sentì, fortemente, il bisogno di doversi subito rinfrescare…
Qualcosa, però, attirò nuovamente l’attenzione del giovane.
Come un qualcosa di stonato in mezzo ad una situazione apparentemente normale.
Vito si tolse la maglietta ed il pantaloncino, restando in costume, mentre passava in rassegna le persone intorno a lui.
Sembrava tutto normale, però, c’erano i soliti clienti abituali.
C’erano i due culturisti che spesso pernottavano nella struttura.
Lei con il viso gentile ed i capelli lunghi e fluidi da una parte, ed il braccio sinistro tatuato e la stazza imponente dall’altra; che la facevano sembrare una “bambinona gigante” cresciuta ad omogeneizzati; quantunque paresse essere, sempre, intimidita e riservata, tanto che non si era ancora tolta i vestiti di dosso.
C’erano, poi, le due lesbiche con il loro inseparabile cane.
Le quattro “salsere”, con le due più avanti negli anni, che avevano, già, dato inizio alle danze latino americane a bordo vasca; sulle note del cellulare di quella più alta del gruppo.
C’erano i quattro “pensionati” con le due signore in acqua ed i mariti sdraiati ad abbronzare le pance.
C’era la tipa “fighettina” con la cagnolina “fighettina” che avevano preso l’ombrellone “fighettino” chiuso su tre lati.
Vito non riusciva mai a comprendere come si riuscisse a stare in quella gabbia di seta, con la calura insostenibile che c’era.
Questa, insomma, era la solita “fauna” della Tenuta Serreto che lui ben conosceva.
Fino a che Vito non scorse altri volti…
O meglio, udì qualcosa di poco consono.
Una voce femminile stridula ed atona che proveniva dall’acqua.
Una donna adulta che cantava, come una bambina impazzita, una canzone che inneggiava alla camorra!
Vito la fissò per un attimo: “Oh merda! Ma non può essere?!”.
Il giovane si rese conto di conoscere quella donna, così come, poco dopo, riconobbe anche i brutti ceffi che erano con lei, insieme a due medici ed un’infermiera.
Erano gli internati della residenza per l’esecuzione delle misure di sicurezza!
Lui li riconobbe tutti.
Il corvo, il barbuto, il rosso con i tatuaggi il torvo, il pelato senza sopracciglia, quello con gli occhiali che parla sempre ed il turco con il turbante e la barba bianca.
Questi erano i nomi che erano stati affibbiati dalla gente ai residenti che spesso, accompagnati dai medici ed infermieri, facevano lunghe passeggiate per le vie cittadine.
Tra di loro c’era il corvo che sembrava essere un personaggio, alquanto, particolare.
In paese, era chiamato così perché vestiva sempre di nero e, di lui, si diceva che fingesse di fare il pazzo per evitare la detenzione carceraria.
“Ma come si fa? – bisbigliò Vito – il migliore di questi ha ammazzato la mamma e l’ha messa in freezer! Già farli camminare per il paese è una follia, addirittura farli venire qui a contatto con le persone…”.
Ogni volta che il giovane vedeva in giro i “residenti” della REMS, pensava che i veri pazzi fossero quelli del personale sanitario che li accompagnavano, liberi e senza vincoli, in mezzo alla gente.
Ed anche stavolta egli rivolse delle occhiate di disapprovazione, verso il medico anziano con la barba bianca, quello giovane al telefono e verso l’infermiera intenta a curare la sua abbronzatura.
A Vito parve tutta una situazione paradossale, tanto che, in condizioni normali, se ne sarebbe andato via subito.
Ma stavolta c’era lei.
Non poteva lasciarla nelle mani di quel nano, scroccone seriale, di Gennaro Doria.
Tanto più adesso che lei aveva mostrato una inaspettata attenzione nei suoi confronti, invitandolo ad andare in mezzo alla loro comitiva.
Oltretutto, poi, pensò lui, sarebbe stato semplice intrufolarsi; bastava dire che la “lei” di turno non era venuta per qualche imprevisto e che lui era libero di potersi unire a loro.
Ora, però, pensò il giovane, bisognava fare una bella nuotata, anche per mostrare a Tina la propria “sfolgorante” condizione atletica; a differenza di quel nano malefico, tatuato e con le ciglia curate, che le stava accanto.
Mentre si toglieva i vestiti, il giovane, si vide, incredibilmente, osservato da lei e questo lo fece ringalluzzire non poco; egli si sentiva come il bomber di una squadra di calcio che si involava a rete in solitaria con la porta sguarnita.
Sentiva che, ormai, il goal era vicino.
Ce l’aveva fatta…
Quando entrò in acqua, Vito transitò vicino alle due “pensionate”, le quali stazionavano, in piedi, attaccate al bordo.
Un rapido saluto ed uno sguardo di disapprovazione verso la “residente” che continuava la sua insana litania di devozione verso la criminalità organizzata partenopea, però, trasmisero al giovane la sensazione che le signore volessero dirgli qualcosa.
Vito si fermò.
“Sta facendo questo da stamattina, da quando siamo arrivati”, disse una delle due signore.
“Non so perché non esce nessuno del personale? Così almeno chiediamo che dicano qualcosa a quei dottori che se ne fregano”, disse l’altra.
“Ma perché nemmeno voi avete incontrato qualcuno della Tenuta? – chiese Vito- Io ho aspettato un po’, poi ho deciso di tuffarmi, magari verso la quota appena esce qualcuno, tanto sto sempre qua, quasi tutti i giorni”.
“No, non abbiamo trovato nessuno – disse la prima – solo “questi”. Anche i loro medici sono arrivati dopo”.
“Secondo me hanno dormito qui- disse la seconda – i medici sono venuti a prenderli stamattina. Sarà qualche esperimento sociale di reinserimento o cose simili”.
Vito avvertì una inquietudine indefinita.
Si chiese dove fossero il Professore, la signorina Lucia, la signora Palma e la “Morositas”; il proprietario, cioè, ed il personale della struttura e perché non fossero ancora venuti in piscina?
Certamente dovevano essere impegnati nell’allestimento della sala interna, pulizia delle camere o cose simili.
Anche perché il Professore si affacciava sul balconcino della sua mansarda solo a mattinata inoltrata.
I pensieri del giovane vennero distolti dal gracchiare di una voce rauca e fastidiosa che proveniva dal lato opposto della vasca.
Tempo di girarsi e Vito si accorse di quanto stesse accadendo.
Il nano infame aveva urtato uno dei residenti: il torvo!
Quest’ultimo, come faceva sempre, lo aveva fissato con uno sguardo minaccioso senza proferire parola alcuna; ed, allora, Gennaro aveva cominciato a sbraitare per farsi notare da tutti, soprattutto da Tina.
Solo che, anche un tappo stappato come lui, avrebbe dovuto sapere chi fosse quella gente e che mettersi a fare questione con loro non era per niente una grande idea.
Era come lanciare una bomba atomica in un vulcano che dorme!
Difatti i medici erano accorsi, subito, a calmare le acque…
Vito ritenne che non ci fosse espressione più adatta di questa, per indicare la vicenda e si lanciò verso la scena della litigata.
Lo gnomo malefico stava inveendo come un forsennato contro il torvo, il quale lo fissava in silenzio con degli occhi che sembravano schizzati dalle orbite.
I due dottori e l’infermiera stavano, intanto, cercando di dialogare con Gennaro per dirgli che il loro paziente non era completamente padrone di sé ed era per tale ragione che pareva fissare in maniera minacciosa le altre persone.
Frattanto anche gli altri residenti si erano agitati.
La bambina folle aveva cominciato ad inveire, con la sua voce stridula, contro il tappo stappato; mentre il rosso si era alzato dalla sdraio, aveva cominciato a tremare ed a ringhiare e bofonchiare contro lo gnomo in acqua.
Vito, forte della sua possanza fisica, si frappose dinanzi al nano e, facendogli comprendere che stava litigando con degli psicopatici rinchiusi, riuscì a trainarlo via.
Ormai, però, la miccia era stata accesa.
Il barbuto gridava contro il nulla, il rosso pareva un dobermann che ringhiava contro il nano, la bambina folle emetteva dei gridolini atoni ed acuti insopportabili, il turco si alzava e si sedeva in continuazione, come fosse un filmino in continuo riavvolgimento.
Era un trambusto insensato, in ogni dove, che i medici facevano fatica a contenere.
Fino a che il corvo, seduto sulla sua sdraio, non fece un cenno con la mano.
Si placò ogni rumore…all’istante!
La bambina folle smise di strillare, il barbuto si placò, il rosso si sedette come nulla fosse successo ed il torvo riemerse dalla scaletta per andarsi a sedere al suo lettino.
Era sopraggiunta la quiete, improvvisa ed assoluta, dopo la tempesta.
Un fenomeno che aveva dell’innaturale.
Era come se lo stesso umore dei residenti fosse mutato d’improvviso.
Addirittura il barbuto, si era avvicinato al bordo dove si trovava il medico più anziano e ripeteva, a macchinetta: “…Dottore qui è bellissimo, è bellissimo…”.
Tutte le persone rimasero esterrefatte da un tale accadimento, e ripresero, man mano, le loro precedenti occupazioni.
Le salsere ricominciarono a ballare al ritmo latino, la fighettina si rimise nella sua posizione cristallizzata, il culturista tornò a sedersi vicino alla sua culturista, le lesbiche riuscirono a calmare il cane che aveva abbaiato fino a quel momento ed i pensionati si riunirono in conciliabolo per decidere cosa fare…d’altronde non avevano ancora pagato la quota…
Quest’ultimo pensiero allarmò, ancora di più Vito…
“Dannazione! Non sono usciti nemmeno con tutto questo casino?!”.
Il giovane decise che era venuto il momento di andare a chiamare qualcuno nella Tenuta.
Dopo aver sentito, ancora per un po’, le acide contestazioni del nano ed aver sorriso alla sua “amata”; Vito si incamminò verso la struttura, attraverso il giardino.
Non prima, però, di aver notato il modo famelico con il quale il corvo stava fissando Tina…
Questa ultima immagine non fece altro che aumentare il senso di inquietudine nell’animo del giovane.
Tanto più che, proprio nel momento in cui Vito entrò nel prato che suddivideva la piscina dagli ombrelloni della sala da pranzo all’aperto, non potette fare a meno di notare tutti gli oggetti, motorizzati e non, che stanziavano in giardino e che, come una mostra permanente della civiltà rurale, richiamavano l’antica vocazione campestre e contadina della struttura originaria.
C’erano rastrelli, zappe, vanghe, un trattore ed una falce!
Si vedeva che erano oggetti vecchi di decenni, ma erano ancora utilizzabili e, pertanto, potenzialmente pericolosi.
Bisognava parlare con il personale della struttura, subito!
Perlomeno far togliere quegli attrezzi dal giardino o per farli colloquiare con i medici e fare in modo di tenere i residenti in una parte della piscina ed i clienti in un’altra.
Vito superò la sala da pranzo all’aperto ed entrò nella struttura dagli ingressi posteriori.
Uno era quello della sala da pranzo interna e l’altro era quello della cucina.
Il giovane entrò in entrambi, disse buongiorno in ambedue i casi, ma nessuno rispose.
C’era il tavolo dove aveva fatto colazione un gruppo di persone, ed era ancora in disordine.
Vito si allarmò, e contò i posti a quel tavolo.
Il conteggio fu veloce: il corvo, il rosso, il barbuto, il torvo, la bambina folle e, poi, il pelato e quello con gli occhiali che parlava sempre ed il turco.
“…Hanno dormito qui… senza i medici…”. Sospirò Vito.
“Signorina Lucia…! Signora Palma…! Professore!”.
Il tono di voce alto di Vito non ebbe risposte e tornò indietro dai piani alti come un eco ramingo e solitario.
Il giovane si domandò cosa fosse accaduto, perché non ci fosse Lucia, carina e sempre sorridente, alla reception? Perché non c’era la signora Palma, la quale assomigliava a Sofia Loren da giovane, in cucina a collaborare, ed a far girare la testa, al giovane cuoco con la barbetta? Perché non c’era la “Morositas” che si muoveva tra i tavoli, con la sua carnagione olivastra ed il suo sedere grande e tondo come il mondo? Perché non si vedeva scendere il professore, dalla sua mansarda, con il suo fare, incedere e parlare da comandante in capo?
Vito, dentro di sé, sentiva di conoscere la risposta e, già, vedeva la scena da film dell’orrore che si aspettava, di lì a poco, di andare a scoprire…
Erano stati tutti uccisi! Tutti! Quella notte! dai residenti!
E quando al mattino erano arrivati i medici, avevano trovato i detenuti già in piscina.
Ora le camere dei piani superiori erano dipinte del sangue e delle membra dei membri del personale della struttura!
Vito salì le scale preparandosi, già, alla visione da girone infernale che avrebbe visto di lì a poco.
Invece le camere erano vuote…tutte vuote!
I letti erano ancora sfatti e c’erano i vestiti dei residenti dappertutto.
Però il sangue, le membra e le ossa del personale non c’erano…
Fortunatamente Vito non scese nelle cantine dove si trovavano i freezer a pozzetto.
Per fortuna per lui, non li aprì.
Altrimenti li avrebbe trovati tutti lì! Il Professore, la signora Palma, la signorina Lucia, la Morositas, il cuoco con la barbetta che, mentre lavorava, ammirava sempre la scollatura della signora Palma…
Tutti fatti a pezzi, imbustati e con la scritta sulla bustina che indicava la parte del corpo contenuta nel sacchetto, il proprietario alla quale apparteneva in precedenza e la data di refrigerazione!
D’altronde il giudice di sorveglianza lo sapeva che alcuni dei residenti erano molto metodici ed ordinati in tema di refrigerazione dei loro “alimenti”, ed avevano fatto la stessa cosa a madri, sorelle e parenti vari.
Però, lui era uno dalle vedute progressiste e le attività di socializzazione dei residenti, come prospettate dal personale medico, erano più importanti della incolumità della gente del paese o di quella del personale della Tenuta.
Anche perché lui, non si era trovato nei boschi, la notte prima, allorquando il personale della Tenuta era stato soppresso, smembrato, cotto sul fuoco ed imbustato….
Vito, intanto, era ancora fermo nel corridoio delle camere superiori, a domandarsi cosa stesse accadendo, nel momento in cui cominciò a percepire, al di sotto del frastuono della musica in piscina, qualcosa che non era ritmo o melodia.
Erano grida di terrore!!
Il giovane trasalì, ed urlando il nome di Tina si precipitò alla finestra.
Quello che egli vide in quel frangente, restò per sempre scolpito nei suoi occhi e nella sua anima, come la materializzazione terrena della dimensione concettuale di Inferno!
Ciò che lui aveva temuto si era verificato! I residenti avevano imbracciato gli attrezzi restaurati che facevano bella mostra, in giardino, della antica civiltà contadina che abitava quelle terre.
Ora, però, quegli stessi attrezzi erano usati per massacrare degli esseri umani!
E con la musica così alta, la “festa” doveva essere iniziata già da qualche minuto.
Il culturista, infatti, era riverso nel prato, immerso in una pozza di sangue|!
La sua “bambinona gigante”, invece, aveva cercato scampo correndo verso il cancello principale, ma lo scienziato con gli occhiali che parlava sempre, l’aveva raggiunta sul vialetto di ciottoli.
Laddove l’aveva, evidentemente, colpita con una “pirocca” di legno, che era a terra vicino a loro; ed ora stava abusando di lei, quantunque ella fosse ancora semi tramortita.
Uno dei pensionati erano sdraiato sui lettini e non si muovevano più.
Le due pensionate galleggiavano con il viso riverso sul pelo dell’acqua.
Seppur la musica latina proseguisse la sua scaletta, due salsere non ballavano più; erano a pancia sotto a bordo vasca.
La fighettina arrivò dal giardino correndo ed urlando disperatamente, mentre si diresse alle spalle del locale bar, inseguita dalla “bambina folle” che emetteva un risolino acuto e famelico.
Il braccio di una delle due lesbiche penzolava dalla sua sdraio ed il cane le abbaiava contro come se volesse svegliarla.
I medici e l’infermiera non c’erano.
Vito rimase agghiacciato da quel set di un film dell’orrore che si stava svolgendo sotto i suoi occhi e si domandò se stesse accadendo veramente.
Restò così fino a quando non udì una voce, concitata e rotta dal pianto, chiamarlo dalle scale.
Il giovane urlò il nome di Tina e si precipitò giù fino alla sala da pranzo invernale, quella con il camino.
Abbracciò la sua bella, quasi investendola in velocità, ed entrambi corsero alla porta di ingresso principale, chiudendola a chiave.
Quindi, corsero entrambi, seppur Tina venisse praticamente trascinata, verso la porta della sala da pranzo estiva, e chiusero anche quella.
A quel punto, ambedue, si portarono in cucina, posta a fianco della sala estiva, e chiusero l’ingresso che dava sulla sala da pranzo all’aperto.
“Tina fermati! – urlò Vito – smetti di piangere! Cosa è sucesso?”.
Non lo so! – rispose lei con la voce rotta dal pianto – è iniziato tutto all’improvviso! Hanno cominciato ad ammazzare tutti!!”.
“E i medici- chiese Vito- dove sono?”.
Lei scosse il capo significando che anche loro non potessero fare più nulla ormai: “Quello giovane ha gridato “Io non volevo mettervi quei cosi in testa”. Quello più vecchio ha urlato “Salvatore, tu li puoi fermare”. L’infermiera ha gridato..aiuto!!”.
Tina si mise le mani sul viso.
Vito comprese e chiese: “Hai il cellulare con te?”.
Lei non riuscì a parlare ma fece un cenno di diniego con la testa.
“Gennaro? – chiese Vito- che gli è successo?”
Tina dovette sforzarsi per riuscire a rispondere che non lo sapeva: “Mi sono nascosta…hanno cominciato ad ammazzare la genteeee!!!…le gridaaaaa!!…Perchè!!”.
“Calma- disse Vito- non facciamo rumore…”.
I due giovani si silenziarono fino ad accorgersi che non c’erano più rumori che provenissero dall’esterno.
“Ora verranno qui…” Sospirò Tina con un tono piagnucolante e spezzato.
Vito prese un grosso coltellaccio per il taglio della carne e ne porse uno più piccolo a Tina.
“Dobbiamo cercare un telefono- replicò lei fissando con aria dubbiosa la lama che Vito le aveva messo in mano- dobbiamo chiedere aiuto”.
“Non lo so se c’è un telefono fisso qui- rispose Vito- ogni volta che telefono sul numero che c’è sull’elenco, mi viene trasferita la telefonata sul numero di cellulare del professore. È possibile che non abbiano un telefono fisso”.
“Dove sono le persone della Tenuta? – chiese Tina – mica anche loro…?”.
Vito fece segno con la testa e con gli occhi di non sapere nulla circa il loro destino.
Fu in quel frangente che si udì un tonfo sordo, e pesante, provenire dalla sala da pranzo estiva, dall’altra parte del muro della cucina.
I due giovani si ghiacciarono e si silenziarono all’unisono.
Vito si portò alla finestra che dava sulla sala da pranzo all’aperto, seguito, poco dopo, anche da Tina.
Quando videro ciò che aveva provocato quel rumore, entrambi trasalirono e Vito dovette mettere, immediatamente, una mano sulla bocca di Tina per non farla gridare.
Ce la fece e, almeno per quel momento, non furono entrambi individuati dai residenti.
Ma la scena che i due ragazzi avevano visto aveva, letteralmente, ghiacciato il sangue nelle loro vene.
Il corpo pesante di uno dei pensionati era stato buttato a terra come fosse un sacco della spazzatura, proprio davanti alla porta di ingresso della sala da pranzo estiva.
La stessa sorte che era toccata da una delle lesbiche ed a una delle salsere.
Poi, via via, i medici e tutti gli altri.
Fatto ciò, i residenti, avevano chiuso la porta.
Dopo di che, avevano preso l’olio delle lampade che facevano da cornice “retrò” alle feste serali della Tenuta e l’avevano riversato sui tavoli e sulle sedie che erano stati usati per “seppellire” i corpi.
Ancora una volta, Vito ebbe la sensazione che il corvo “governasse” i residenti senza nemmeno dover parlare, quasi come se li comandasse con una sorta di controllo a distanza.
“Ci vogliono bruciare…” disse Tina con voce isterica, subito bloccata da Vito con una mano.
La bionda, però, aveva ragione.
Il corvo si girò, proprio in quel momento, in direzione della finestra e fece pietrificare i due giovani.
Dedicò loro un sorriso beffardo, mentre i suoi sterminatori appiccarono il fuoco!
Più che una fiammata, fu una vera e propria deflagrazione!
Vito e Tina gridarono e si gettarono a terra, mentre un terrificante odore acre di carne bruciata si spandeva all’interno della Tenuta, insieme ad un fumo nero che oscurava anche la luce del Sole.
Era la carne delle persone che si trovavano in piscina che stava bruciando!
Questa infernale dimensione di follia sanguinaria, che pareva avesse avvolto e sommerso le anime dei due giovani, li atterrì e li prostrò rendendoli inermi dinanzi a tale inumana ferocia.
Tina piangeva e chiedeva aiuto.
Questo fece ridestare Vito che si convinse a dover tentare una sortita.
“Dobbiamo uscire- disse lui- Tina, dobbiamo uscire dalla porta principale!”.
Tina lo fissava ma era come se non lo sentisse, ormai il suo equilibrio mentale era andato.
“Se qualcuno si è salvato- continuò Vito- comunque non farà in tempo a far giungere aiuto, ci sono tre chilometri di bosco prima del paese e se sbagliano strada…Tina dannazione ascoltami!!”.
Vito strattonò la ragazza ridestandola dal suo stato catatonico, mentre il fumo aveva invaso l’intera cucina ed il crepitio delle fiamme aveva avvolto la sala da pranzo estiva.
“Non possiamo più uscire nemmeno dalla porta principale- gridò Vito- dobbiamo usare la finestra dietro di te! Tina dobbiamo fare presto, prima che esplodano le condutture del gas!!”.
Vito sollevò Tina di peso e la trascinò verso la finestra che dava su di un piccolo cortile laterale.
Quindi, il giovane guardò fuori e non vide nessuno, anche se Tina non voleva saperne di uscire, sapendo che i residenti erano là fuori.
La sala dietro di loro, però, stava prendendo fuoco e presto ci sarebbe stata una esplosione terrificante.
Vito si mise il coltellaccio tra i denti e scavalcò la finestra che aveva spalancato, nonostante le rimostranze di Tina, quindi afferrò la ragazza e la trascinò fuori.
In piedi, nel piccolo cortile sotto un colonnato, i due giovani si guardarono intorno.
Tina non aveva più il suo coltello, ma Vito era pronto alla lotta con la sua arma.
La porta laterale, che dava sul cortile, era chiusa e sembrava che nessuno stesse per arrivare, perciò il giovane si diresse verso il giardino, tirando la sua amica con la mano sinistra.
Vito puntò, allora, sul vialone di ciottoli che portava al cancello principale.
Fino a che Tina non diede un urlo spaventoso!
Comparso, praticamente, dal nulla, il corvo aveva afferrato la ragazza e la stava tirando verso di sé.
Vito caricò il braccio destro per sferrare un fendente con il suo coltellaccio, ma venne affrontato dal rosso con i tatuaggi che, con un falcetto in mano, cercò di tranciarlo.
Il giovane dovette mollare la presa sulla sua amica, la quale venne portata via dal corvo.
Il ragazzo, allora, gridò il nome della sua amata, in risposta alla invocazione di aiuto di lei.
Ma l’assalto del rosso coi tatuaggi fu veemente e furioso.
Ancora una volta, Vito, seppur impegnato nella colluttazione, ebbe l’impressione che il corvo comandasse i residenti senza nemmeno dover parlare!
Entrambi i contendenti, nel frattempo, si procurarono delle ferite e finirono per carambolare a terra.
Il rosso perse il suo falcetto e, nel tentativo di recuperarlo, si allungò strisciando sui ciottoli.
Così facendo, però, quest’ultimo, diede le spalle al suo avversario, il quale inferse un taglio al suo polpaccio sinistro.
Il rosso urlò come vitello che stava per essere sgozzato e prese a correre via zoppicando.
Vito si rialzò sanguinante, con la lama intrisa del sangue del suo nemico.
Era arrivati tutti!
Tranne la bambina folle.
Il barbuto, il turco, il torvo, il pelato e quello con gli occhiali che, però, adesso, non parlava.
Vito rimase immobile e senza più alcuna speranza.
Il corvo aveva lasciato Tina, la quale era ruzzolata all’indietro finendo per sedersi radente alla parete della struttura.
Anche lei non era più in grado di muovere un solo muscolo.
Le fiamme avvolsero il lato posteriore della struttura, il fumo nero si alzò alto nel cielo.
Presto, gli occupanti delle abitazioni limitrofe avrebbero visto il fumo innalzarsi dalla struttura e sarebbero accorsi.
Ma Vito e Tina non avevano più tanto tempo.
Il turco porse una grossa falce al corvo e tornò subito in formazione con gli altri residenti.
Come un presagio di morte, allora, il corvo con una grossa falce in mano si mosse in direzione di Vito.
Fortunatamente non diresse alcuna attenzione a Tina, seduta con le spalle contro la parete; mostrando, così, che il suo obiettivo era lei.
Il giovane raccolse il falcetto del rosso e si rialzò con ambedue le armi in mano.
Il corvo vestito di nero non era molto grosso, ma la falce che aveva in mano, invece, si.
Vito arretrò con brevi passi all’indietro, stando attento a non finire con le spalle contro il cancello.
Entrò nel giardinetto piccolo, circondato da cespugli curati e costellato da dondoli, gazebo e divanetti coperti, dove egli poteva cercare di rendere più lenta e farraginosa la manovra del suo nemico.
Le colonnine di tali strutture semoventi, divennero difesa naturale contro il primo terrificante affondo del corvo, il quale caricò con una furia inaudita, seppur senza emettere alcun fiato o gemito.
Il corvo manteneva imperturbabile l’espressione del suo volto scuro e non mostrava alcun tentennamento.
Affrontare una falce, però, era praticamente impossibile, quando il residente caricava il colpo, così come era inutile ogni tentativo di reazione o di parata del fendente; bisognava solo scappare.
Le colonnine dei gazebo cominciarono a cadere, una ad una, sotto i colpi della falce del corvo.
Vito, però, si trovò con le spalle contro il denso e compatto cespuglio di rose e di rovi che delimitava il giardinetto.
Superare quella barriera, restando indenni, era impossibile.
Il corvo parve pregustare il compimento finale del suo disegno di sterminio.
Assestò il colpo, con una bramosia famelica di vedere scorrere il sangue di Vito.
Il giovane, però, gli tirò contro il coltellaccio che aveva nella mano sinistra e, quantunque, il corvo riuscì ad eludere, con un movimento del capo, il tiro del suo avversario; ne venne, comunque, parzialmente intaccato.
Vito guadagnò, nuovamente, il campo aperto, mentre il corvo emise un rauco urlo di dolore mantenendosi la parte sinistra del collo, laddove si era aperta una ferita.
Lo stesso grido, di eguale inflessione e tonalità, venne emesso, all’unisono, anche dagli altri residenti…
Vito, però, adesso aveva solo il suo falcetto in mano.
Il corvo era, intanto, divenuto furente e mostrava il volto sfigurato da un ghigno di collera e di rabbia.
Egli non eseguiva più dei movimenti coordinati e mirati ma caricava il suo nemico in preda ad una furia incontenibile.
Così facendo, però, anche la sua micidiale ed inattaccabile arma diveniva difficilmente manovrabile.
Ciò nonostante, Vito venne quasi falcidiato da un colpo mortale del corvo, riuscendo ad evitare il fendente solo compiendo una giravolta attorno alla colonnina dove si era appoggiato a bordo piscina.
La lama, però, gli aprì uno squarcio poco più sotto delle spalle ed il giovane, gridando di dolore, cadde a terra.
Vito cercò di rialzarsi utilizzando un lettino, mentre avvertì lo spostamento d’aria provocato dal corvo che aveva portato la falce dietro di sé per caricare e sferrare il colpo finale.
Il giovane si girò, di scatto, mentre era, praticamente, a pancia sotto sul lettino e scagliò con tutta la sua forza il falcetto contro il suo nemico.
Spostando, con veemenza il lettino, allora, Vito, cercò di trovare scampo strisciando tra i mattoni di cotto ed il susseguente prato.
Ormai sapeva di essere spacciato.
La falciata finale, però, non arrivò.
Vito si girò, mentre usava mani e piedi per rialzarsi e vide la scena.
Il residente aveva ancora la falce innalzata sopra la sua spalla sinistra, mentre con gli occhi sgranati fissava il falcetto di Vito che gli si era conficcato in bocca!
Il corvo emise un rantolo soffocato prima di stramazzare al suolo.
La sua falce, cadendo e rimbalzando, ribaltò un lettino.
Vito si allontanò di scatto, mentre fissava la sagoma nera del suo aguzzino, tremare a terra con dei movimenti riflessi ed incondizionati; poco prima di bloccarsi del tutto.
Il giovane si toccò la schiena sanguinante e si girò verso i residenti, ancora messi in formazione sul viale.
Ormai lui era ferito in più punti, dopo i due scontri, e non aveva più forza per lottare.
Egli sentiva che la fine era vicina.
I residenti, intanto, fissavano con degli sguardi vitrei il corpo del corvo.
Si mossero, quindi, tutti insieme.
Vito cercò di trovare scampo correndo verso il trattore della mostra della civiltà contadina che era nel prato; però gli assassini non erano diretti verso di lui…
Come una silente processione di morte, allora, i residenti presero la salma nera del corvo e, tutti insieme si diressero verso il retro della struttura avvolto dalle fiamme.
Non comprendendo nulla di quanto stesse succedendo, Vito risolse però di correre in direzione di Tina.
La ragazza aveva perso i sensi, forse da prima dello scontro del suo amico con il corvo.
Vito la alzò di peso e la trascinò verso il parcheggio, oltre il giardino.
Quando giunsero le auto di Antonio, Anna Clelia, Gino, Lella, Vitaliano, Maria Teresa e gli altri amici di Tina, videro Vito insanguinato che trascinava di peso la loro amica, mentre la Tenuta Serreto bruciava…
La fighettina sopravvisse e venne trovata a vagare nei boschi, nuda ed in stato di shock, trascinata da una delle lesbiche che l’aveva salvata.
Quest’ultima, infatti, nascostasi durante il massacro, aveva preso una grossa pietra ed aveva tramortito la bambina folle mentre costei stava soffocando la fighettina, dopo averla denudata.
Anche un pensionato si salvò, così come la bambinona gigante che, dopo aver subito la violenza carnale dall’occhialuto che parlava sempre, sin era finta svenuta ed aveva scavalcato, poi, il cancello non appena ne aveva avuto l’occasione.
Così come vennero ritrovate che si aggiravano spaesate e sperdute tra i boschi anche le due salsere sopravvissute.
Il nano malefico tatuato Gennaro Doria, venne trovato abbarbicato sulla sommità di una quercia, laddove si era nascosto tra i rami.
Dei residenti sopravvisse solo la bambina folle, la quale venne rinchiusa in una struttura di detenzione meno progressista e permissiva.
Da quel giorno, però, ella non emise mai più parola.
l’autore
Giuseppe Borrelli nasce a Caserta il 14/12/1973.
Vive e risiede a Calvi Risorta, piccolo centro della provincia di Caserta, ai piedi del Monte Maggiore. Ha intrapreso gli studi classici ed umanistici, diplomandosi al Liceo Classico “A.Nifo”. Laureato in Giurisprudenza alla Seconda Università degli Studi di Napoli, Avvocato ed ex giornalista pubblicista.
Ha iniziato a svolgere la attività di pubblicista come inserzionista per riviste quali “ Presenza Missionaria” e testate di cronaca locale come “Sting”. Ha collaborato con il quotidiano “ Il Mattino” e con alcune emittenti televisive campane.
Studioso ed appassionato di Fisica e Scienze Astronomiche. Autore, principalmente, del genere Fantasy e Fantascienza, ha sviluppato anche narrazioni a carattere Storico, Thriller e racconti Horror. Tra le sue pubblicazioni: “Il Volto della Bestia”, “Gamurra”, “L’Androzoide”, “I Guardiani di Rameno”, “Il Luparo” La Favola del Sempregiorno” e “The Globster. Il Demone del Corallo”.