E sto abbracciato a te
senza guardare e senza toccarti.
Non debba mai scoprire
con domande, con carezze
quella solitudine immensa
d’amarti solo io.
(Pedro Salinas)
La protagonista della storia è una donna della quale non ci è dato conoscere il nome. Lei stessa racconta con lucida esattezza e in modo asciutto, le motivazioni che l’hanno portata all’assassinio del marito. Il racconto “E’ stato così” (edito da Einaudi), si apre con la chiara, netta ammissione del misfatto: “Gli ho sparato negli occhi. Ma già da tempo pensavo che una volta o l’altra gli facevo così”.
Prima d’incontrare Alberto (suo marito), era un’insegnante giovane trasferitasi da poco in città. Una donna semplice che mai era stata notata e corteggiata. Le attenzioni dell’uomo che le regala dei guanti, fa con lei lunghe passeggiate, l’ascolta e le parla e le fa un ritratto che fa esclamare al dottor Gaudenzi (colui che li ha presentati): “Alberto non sa fare il ritratto alle donne che gli piacciono”; la persuadono che lui provi un forte interesse nei suoi confronti. L’idea di essere amata la spinge piano piano a pensare sempre più ad Alberto facendole desiderare di vederlo più spesso. Solo sua cugina Francesca, più sveglia di lei, l’avverte che l’uomo potrebbe essere non interessato ma non le presta ascolto.
Quando Alberto comincia a ritrarsi non scrivendole per tutta l’estate (che lei trascorre nel suo paese natio lontano dalla città), la protagonista intristita, comincia a pensare di amarlo: “E così allora mi sono innamorata di lui aspettandolo”.
Tornata, lo cerca e gli confessa il suo interesse sicura che lui la ricambi. Così non è: l’uomo le risponde di essere innamorato di Giovanna, una donna che conosce da anni, sposata e madre di un figlio, della quale è stato innamorato, senza successo, anche il suo caro amico Augusto. Paradossalmente, Alberto le propone di sposarlo. L’angoscia di una vita solitaria e vuota, la paura di tornare indietro al tempo in cui non lo conosceva, la spingono ad accettare nonostante lui non la ami.
Quali sono le motivazioni dell’uomo? Le stesse di lei: vuole scappare dalla solitudine e dall’angoscia di vivere in continua attesa di Giovanna. Gli sembra che costruendo un nuovo ambiente famigliare, mettendo al mondo dei figli, sposando una donna che gli voglia bene, possa mitigare la sua inquietudine. Così non accade. Il matrimonio finisce per essere una trappola per entrambi: lui appena può scappa da Giovanna; lei finisce disperata ad aspettare che torni. Neanche la nascita di una figlia riavvicina i coniugi, anzi, è la sua morte prematura a compiere il miracolo.
Nonostante le nuove attenzioni del marito, lei vive nella continua paura che lui un giorno possa partire con Giovanna e non tornare più. Comincia così a pensare di utilizzare la rivoltella che Alberto da giovane, in un impeto di disperazione, aveva comprato per suicidarsi nell’impossibilità di vivere con l’amante.
Se Alberto fosse morto, lei avrebbe posto fine all’attesa. Quella sua che la costringeva a casa a domandarsi se lui sarebbe tornato. Quella di lui e di Giovanna che si chiedevano quando avrebbero potuto rivedersi.
In questo romanzo breve del 1947, la Ginzburg ci regala il ritratto di cinque solitudini e di come per sfuggire all’infelicità, pur prendendo strade diverse, tutti falliscono.
E’ la dura presa di coscienza della protagonista che vive un mondo interiore fatto di sogni e fantasie. Una donna che non ha i coraggio di vivere davvero e si aggrappa ad un’illusione.
E’ la malinconica vita di Alberto che ama Giovanna che non può avere. Che vive assoggettato alla madre anziana che lo tormenta e lo rassicura, figura forte e stabile che lo costringe ad un affetto e ad un focolare domestico al quale vorrà tornare, dopo lei morta, sposando una donna affidabile che non ama:
“Sei la sola cosa che ho,ricordalo. L’ avevo ricordato e quelle parole m’avevano aiutato a vivere un po tutti i giorni. Ma perdevano la loro dolcezza a poco a poco come un nocciolo di prugna succhiato per troppo tempo”.
E’ la consapevolezza di Giovanna che confessa di aver sbagliato a sposare un uomo che non riusciva a capirla: “Con mio marito è andato sempre male. E’ andato subito male, fin dai primi tempi. (…) Non abbiamo niente da dirci e mi trova stupida e strana”.
Giovanna che non lascia andare Alberto perché è l’unico con il quale riesce ad essere se stessa. La ricerca della felicità di Francesca che della sua giovinezza libera ha fatto quasi una missione disperata tra feste, bei vestiti, relazioni fatte di fuochi fatui e l’assoluta fermezza nel non volere una vita conforme a quella della protagonista, sua cugina.
Infine Augusto che s’innamora di donne che non potranno mai ricambiarlo come Giovanna e Francesca, e soffoca la sua tristezza nel lavoro, scrivendo libri,nel silenzio comprensivo di amico e confidente degli altri personaggi.
Come un infernale circolo che inizia con la solitudine e finisce nella solitudine, il racconto della moglie omicida ci suggerisce forse che più ci costringiamo a non guardare in facciata la verità, più la verità ci presenterà il conto alla fine. Il nostro bisogno di consolare i vuoti non può essere riempito da recite in cui noi decidiamo quale parte affidare alle persone che vivono intorno a noi. La verità che tanto agognava la protagonista, era sotto ai suoi occhi da sempre e nulla l’avrebbe cambiata. Lo sparo negli occhi del marito, acceca ed oblia la vita di lui, e libera lei dall’assillo continuo di venire messa di fronte alla realtà delle cose.