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Andare a Tricarico significa andare in un luogo di culto. Un concetto più lato rispetto a quello religioso. Ci sono tante commistioni di fedi. Basti pensare che questa città è sede della diocesi che comprende 19 Comuni in due Province e che su questa terra, nel corso del tempo, si sono trovate influenze arabe. E poi qui, il culto vero, è quello per gli amanti dell’archeologia con i suoi tre siti. Se ami questo settore e vai a Matera in questo 2019, una visita a Tricarico è imprescindibile.

L’area archeologica principale è quella di “Piano della Civita”. Il sito archeologico è caratterizzato da queste tre cinte murarie, la più esterna delle quali, racchiude il vasto pianoro che va da est a ovest verso il Basento. Su questo pianoro c’è un tempietto le cui strutture si elevavano per almeno un paio di metri sul piano di campagna. Questa Civita, di cui si hanno tracce sicuramente fino al Quarto secolo a.C., ha avuto sul territorio circostante una funzione politico-amministrativa. All’interno delle cinte murarie della Civita vi sono i resti di alcune abitazioni con pavimenti a mosaico. Nell’acropoli sono collocate una domus e un tempietto del Primo secolo avanti Cristo che dimostra l’adesione a di Tricarico al modello dell’Impero Romano. Gli archeologi ritengono che Piano di Civita avesse una funzione di primaria importanza per il territorio era un punto di riferimento.

Serra del Cedro è un altro sito molto vasto. Anche qui c’è una importante cinta muraria che racchiude un’area di più di sessanta ettari all’interno della quale sono state ritrovate molte fondazioni di case ed è stata individuata ed in parte esplorata un’area artigianale. Secondo gli studiosi gli uomini a Serra del Cedro sono apparsi a partire dalla seconda metà del Sesto secolo avanti Cristo, da qui poi si avvierà una grande fase di sviluppo per la Tricarico dell’epoca che però, nella zona di Serra del Cedro, termina quando Roma completa la conquista della Magna Graecia.

Terzo insediamento archeologico di Tricarico è nella zona di Calle dove ci furono molti rinvenimenti di oggetti legati alla ceramica e ai mosaici.

Tricarico è piena di Storia tradotta in architettura: le tante Porte, la Torre Normanna, il Palazzo Ducale e il Santuario della Madonna delle Fonti immerso nella vegetazione del suo bosco e che è uno dei luoghi di pellegrinaggio più importanti della Basilicata.

Nelle vene di Vivaldi scorreva un po’ di sangue di Pomarico. Mi appassiono alle piccole e grandi storie italiane ed è così che ho scoperto questa. L’ho scoperta, come è mio costume, preparandomi al viaggio per la Basilicata. Data per scontata la bellissima visita a Matera Capitale della cultura, avevo previsto di visitare qualche paese con elementi che attirassero la mia attenzione. La congiunzione fra Vivaldi e Pomarico mi ha colpito. Il compositore barocco delle famose Quattro stagioni era figlio di Camilla Calicchio, a sua volta figlia di Camillo (giuro, tutto vero), che a Pomarico faceva il sarto prima di partire per il nord. Un particolare che mi ha fatto venir voglia di visitare questo luogo, che ama moltissimo Vivaldi, e che ho trovato con delle architetture religiose splendide.
Da visitare subito la chiesa madre di San Michele Arcangelo, costruita nella seconda metà del Settecento e che ha trovato nuova vita dopo i danneggiamenti del terremoto del 1980. La sua facciata barocca è davvero suggestiva, il campanile vicino è imponente. Dentro si può notare subito la struttura a croce e vedere i dipinti di Pietro Antonio Ferro, Andrea Vaccaro e la statua di San Michele del Quattrocento.

La mia visita prosegue alla chiesa di Sant’Antonio da Padova dove oggi c’è il Comune nei locali che una volta erano del convento. La cosa che colpisce di più nella visita, oltre agli altari, sono i quadri. C’è la “Deposizione” e la “Madonna col Bambino coi santi Francesco e Antonio” e la “Maddalena penitente”.
Salendo su per Rione Castello si vedono i ruderi dell’antica fortificazione, la chiesa dell’Addolorata e Palazzo Donnaperna, voluto dalla nobiltà che abitava questi luoghi, con il suo bellissimo Salone Rosa.

Ci sono solo due paesi della provincia di Matera che hanno la fortuna di far parte della grande comunità del Parco nazionale del Pollino. Uno di questi è San Giorgio Lucano (l’altro è Valsinni). Io abito a Rocca Imperiale, in Calabria, e la Basilicata, per quelli come me, è qualcosa di “familiare”. Quasi quotidiano visti i tanti colleghi che vengono da quel territorio. Ma a San Giorgio Lucano, devo essere sincero, non ero mai stato. Allora portando degli amici a Matera per le celebrazioni da Capitale europea della cultura, ho deciso di vedere questo Comune iniziando dal Parco. Con oltre 190mila ettari, il Parco del Pollino è una delle aree verdi più grandi del Paese e San Giorgio fa parte di questo paradiso.

In questa fetta della provincia di Matera possiamo visitare la valle del Sarmento, il bosco Codicino, gli abeti, i castagni, i faggi e la bellissima sorgente della Battistina sempre affascinante da osservare e ascoltare.
A Serra Crispo c’è il “Giardino degli dei” chiamato così, mi hanno raccontato, perché considerato un vero e proprio Eden per il Pino Loricato che dalla cima del Crispo si vede bene. Questo albero è proprio il simbolo della area naturale del Parco del Pollino. È il simbolo della nostra Calabria e della Basilicata.

Per tutti quelli che amano l’archeologia e che in questo 2019 si recano a Matera Capitale europea della Cultura, è impossibile non fare un salto a Policoro per vedere il Museo archeologico della Siritide. Un presidio fondamentale per conoscere la Magna Graecia. Proprio qui, a poca distanza dalla mitica Eraclea dove si batterono Pirro e i romani. Qui, nella città che, giustamente, non ha nascosto le ambizioni di diventare il terzo capoluogo della Basilicata perché è il centro più grande dopo Potenza e Matera.

Ma cosa si trova all’interno del Museo archeologico nazionale della Siritide? Qui dentro ci sono alcuni dei rinvenimenti più importanti delle città di Eraclea e di Siris. Possiamo vedere fra le stanze del museo corredi funerali del settimo secolo avanti cristo, ceramiche locali, statuette di voto agli dei, oggetti di artigianato. Nel territorio di Eraclea sono state ritrovate anche ceramiche a figure rosse, monili in oro, gioielli figli dell’artigianato locale e persino la tomba di un orafo perché qui il metallo prezioso per eccellenza era un’arte. Il prossimo anno, mi raccontano qui, ci sarà una mostra legata a Policoro, Taranto e Roma proprio focalizzata su Eraclea.

Usciti dal museo, però, non si può non restare incantati dalla bellezza del mare di Policoro. Un clima bellissimo già a marzo. E poi la riserva naturale orientata Bosco Pantano di Policoro, con 21 ettari considerate oasi Wwf. Un territorio, quello di Policoro, capace di affascinare i visitatori del passato e quelli di oggi.

Calanchi d’argilla circondano Salandra, nata per volontà dei normanni. Da Matera a qui lo stupore di bellezza resta tanto. Prima dei normanni qui ci furono gli enotri e gli svevi, poi gli angioni, i signori di Sanseverino e un’altra famiglia nota per la nobiltà lucana come i Revertera. Anche Salandra fa i conti con il brigantaggio. Mi ha colpito e non poco questo misto di popolazioni in un luogo relativamente piccolo. A Salandra è bello vedere quanto influisca il contesto naturale. Un versante del paese affaccia sul torrente Salabdrella con la sua maestosa valle, i suoi calanchi fatti d’argilla mentre lo sguardo arriva fino al fiume Gruso dove la vegetazione è ricca di boschi, querce, frutteti e uliveti. L’occhio e i polmoni a Salandra godono di grandi vantaggi perché è visibile da qui, e raggiungibile in maniera altrettanto facile, la Foresta di Gallipoli Cognato e, se riusciamo a spingerci più in là, anche il parco con le Piccole Dolomiti lucane.
Per restare alle bellezze che ho potuto apprezzare a Salandra, devo fare menzione del suo Comune che sorge oggi dove un tempo c’era un convento. Per l’esattezza è il convento dei padri riformati noto anche come convento di San Francesco che venne costruito da Francesco Revertera, signore di Salandra. Era la sede dell’Università di teologia e del seminario. Una volta questo convento era dedicato a Sant’Antonio ed è per questo che la chiesa vicina è dedicata a questo santo.
Salandra è davvero un bel posto per rigenerare lo spirito mentre si è in viaggio.

Ben tornati lettori!

In questi giorni finalmente, in modo graduale, stanno riaprendo le librerie, seppur con diverse limitazioni e tanti accorgimenti. A breve anch’io tornerò a lavoro. Non vedo l’ora di tornare a sentire il profumo dei libri, muovermi tra gli scaffali e toccare copertine che celano storie e viaggi tutti da scoprire.

Conoscete l’amaro di Pisticci? Se ve lo racconto in questo modo, quasi tutti voi rispondereste con un “no” ma se aggiungo che questo paese della Basilicata è quello dove viene prodotto l’Amaro Lucano? Sono convinto che la vostra cambierebbe immediatamente. Io e i miei amici siamo andati a visitare Matera Capitale della cultura europea e, essendo noi amanti del buon bere (responsabilmente), ci siamo chiesti dove mai venisse realizzato l’Amaro Lucano conosciuto in tutto il mondo. È bastato fare qualche ricerca e, nel nostro viaggio, abbiamo approfittato per fare una capatina anche nella Capitale dell’amaro.
Trovare la distilleria è molto facile: basta recarsi nella strada che porta il nome del suo fondatore ovvero il cavaliere Pasquale Vena che, alla fine dell’Ottocento, inizio a commercializzare l’amaro a base di erbe. Ci stanno ben trenta erbe e, anche qui a Pisticci, ci dicono che è una ricetta segreta della famiglia Vena che viene tramandata sin da allora. Quando arrivi davanti alla distilleria ti sembra di essere Charlie al cospetto di Willy Wonka nella mitica Fabbrica di cioccolato. A pensarci bene, come è scritto in alcuni cartelli descrittivi della storia dell’amaro, i dolci hanno a che fare con il prodotto perché Vena, prima di svoltare con il liquore, era un pasticciere.

Un po’ per fare gli spiritosi, un po’ perché eravamo davvero interessati, abbiamo chiesto se qualcuno ci presentava la ragazza ritratta sulla bottiglia. Gli abitanti di Pisticci, piuttosto che mandarci al diavolo, sono stati al gioco e ci hanno raccontato che quello che indossa la donnina è il tipico vestito del folklore del paese.
Questo vestito tipico si chiama “pacchiana” e, come si vede anche nell’etichetta, ha una gonna in panno scuro a pieghe larghe chiamata vunedd. Sopra c’è lo sciupp che è poi una specie di corpetto ricamato. La indossavano le ragazze pronte per sposarli. Alla ragazza dell’amaro è andata bene: il suo matrimonio dura dal 1894.