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C’è a Longobucco una località: “A petra e ra gn’ zzita” (la pietra della signora sposa) o “petra e ru trisuaru” (la pietra del tesoro), così chiamata perché, secondo un’antica leggenda, una sposa appena maritata fu portata in questo luogo dove i briganti, dopo aver nascosto un grosso tesoro, l’ammazzarono.
Pare che questa pietra avesse una porta magica che si sarebbe aperta solo dopo aver superato alcune prove per rompere l’incantesimo.

Tante sono le leggende nate intorno ad essa e che si intrecciano con la vita e le storie dei briganti, che abitavano i luoghi in questione. Al centro di tutte , però, il tema comune è il tesoro che forse è ancora nascosto nei suoi meandri.

Si racconta che nella “Petra e ra gnà zzita” ci sia nascosta una chioccia con sette pulcini d’oro. Basterebbe acchiappare anche solo un pulcino e la porta della pietra si aprirebbe facendo apparire il meraviglioso tesoro.

Tanto tempo fa un pastorello, pascolando le sue pecore nei pressi della pietra, vide la chioccia, la inseguì per prenderla ma il pennuto riuscì a fuggire, rifugiandosi all’interno della pietra. Il pastore entrò e vide fucili e tanti soldi. Si riempì così le tasche di monete, prese un fucile e cercò di allontanarsi velocemente. Gli apparve quindi, uno spirito che gli ordinò di svuotare le tasche, lasciare tutto e andarsene. Il ragazzo cercò di fuggire, ma qualcosa che si era infilato nella sua scarpa (calandredda) gli impediva di correre. Allora restituì tutto, compreso ciò che gli era caduto nella scarpa: la chiave della porta magica. Ancora una volta il tesoro era salvo!

Un’altra leggenda ci racconta che per far aprire le porte della pietra e arrivare al tesoro bisognava sacrificare il primo figlio maschio sulla pietra affinché il sangue rompesse l’incantesimo.

Si pensava che chiunque fosse riuscito a portare una “pignata” colma d’acqua in ebollizione dal paese fino alla montagna, nei pressi della pietra, sarebbe riuscito a rompere l’incantesimo e le porte magicamente si sarebbero aperte per osservare il favoloso tesoro.

Molte volte i defunti indicavano nei sogni il punto esatto della Pietra dove scavare per trovare il tesoro; raccomandavano di non farne parola con nessuno e di recarsi di notte e da soli in quel luogo. Ma chi sognava non seguiva mai le indicazioni. Andava di giorno e in compagnia, così che al posto del tesoro trovava tutto bruciato.

Si dice che l’antico Dio Libante abitasse nella “Petra e ra gna’ zzita”. Essendo un uomo collerico e vendicativo, bisognava tenerselo buono, altrimenti faceva precipitare su Longobucco terra, pietre e frane. A lui venivano sacrificate sette o dodici ragazze ogni mese per placare la sua ira. Una volta capitò una ragazza molto bella della quale il dio si innamorò e così non la uccise, ma poiché lei era molto cara a un altro uomo, forse di Acri, questo venne a Longobucco, uccise il dio e liberò la ragazza.

C’era un pastorello che pascolava la sua mandria di capre e maiali vicino alla “Porta e ra gua’ zzita”. Dalla mandria si allontanava sempre un maiale che ritornava poi con il muso unto di cruscone.

Il ragazzo un giorno lo seguì e arrivarono alla pietra. Qui incontrò tre briganti che gli dissero: “Vedi questi tre mucchi, uno di monete, uno di coltelli e uno di cruscone? Prendi qualcosa in uno solo di questi”. Il pastorello prese un coltello , ma una moneta andò a finire nel sandalo. Vedendo ciò i briganti, adirati, inveirono contro di lui: “Butta via la moneta, butta via la moneta!” Il ragazzo balbettando rispose: “Io non ho monete, ho preso solo un coltello”. I briganti, che si erano stancati di custodire quel tesoro, dalla rabbia lo uccisero con lo stesso coltello che il ragazzo aveva preso.

A vita e ru lupu viagghiu fare,
i vuaschi vuaschi, senza cumpagnia.
A sira mi ricuagghiu e ru serrale,
a ru ntinnu re l’Ave Maria.

La vita del lupo voglio fare,
di bosco in bosco, senza compagnia.
La sera mi ritiro in cima al colle, al rintocco dell’Ave Maria.

Il bosco è stato spesso considerato un luogo ricco di misteri che ha ispirato leggende antichissime e racconti fantastici. Ma esso è anche e soprattutto un posto utilissimo che custodisce storie di vita vissuta, usanze e tradizioni. Parlando con alcune persone anziane, ho scoperto che i nostri nonni anticamente conservavano anche la neve.
Può sembrare una cosa strana, eppure è così! Scavavano delle buche profonde nel cuore del bosco e ci mettevano la neve, la pressavano e la coprivano di terra.
L’inverno e il freddo silano facevano il resto, cioè la conservavano fino all’estate, in modo che poi venisse utilizzata per fare la famosa “scirubbetta”, cioè il sorbetto o meglio la granita di vari gusti. Si potevano aggiungere e mescolare con la neve: caffè, mosto cotto, spremuta d’arance o succo di limone ecc. con l’immancabile zucchero o con il miele.

U lignu ruassu mantena ru fuacu
Il legno grosso alimenta il fuoco

Cingulu cingulu ja ppe bbia. Uacchj russi u viria e s’unnera ppe gammi torte cingulu astura era muartu.
L’agnellino (“cingulu cingulu”), che ignora di essere osservato dal lupo (“uacchj russi”) va per la via e viene salvato da sicura morte dal cane (“gammi torte”)

Il territorio longobucchese in prevalenza è di natura montuosa con alberi d’alto fusto, come castagni, pini, faggi.
I tagli boschivi erano effettuati dalla primavera all’autunno. Nei primi anni del dopoguerra, questa era una delle industrie più fiorenti perché il legname era utile per la costruzione delle case, per il riscaldamento e per i mobili.
Il taglio del legname era fatto con seghe poco comode, dove era necessaria la presenza di più persone perché era fatto tutto con le sole braccia e il lavoro era faticoso e pesante.
I segantini per la mancanza di mezzi di trasporto rimanevano in Sila per 15-20 giorni e anche un mese. Essi ritornavano al paese per rivedere la famiglia uno o due giorni, per poi approvvigionarsi e ritornare al lavoro nei boschi.

Il legname che serviva per ardere era portato in paese e utilizzato nei caminetti. Quello per la lavorazione era trasportato dai boschi sulla strada con buoi e teleferiche. Il trasporto era difficoltoso, perché allora esistevano pochissimi automezzi e, quando questi non funzionavano, i tronchi dovevano essere portati verso il mare attraverso il fiume Trionto per essere poi caricati sui treni merce. I segantini si recavano in Sila per i tagli dei boschi anche nei rigidi inverni, avventurandosi a piedi sulla neve con le racchette (“circhi”). Vivevano in baracche costruite dagli stessi con il materiale di risulta degli alberi lavorati (“cozze”). Per tagliare la legna si usavano strumenti diversi, come la sega a mano, l’ascia e i cosiddetti “cugni”. Ma nonostante tutto il lavoro era svolto con precisione.
Dopo la “martellata” (l’individuazione delle piante da abbattere) e prima di procedere al taglio, si misurava il diametro dei tronchi con lo “squadro”, comunemente chiamato anche calibro. Si adoperava posizionandolo normalmente al centro del tronco oppure effettuando due misurazioni e moltiplicando il diametro per la lunghezza del tronco. Il legname era scortecciato con la raspa o con l’accetta.
Il mestiere del taglialegna è forse uno dei più antichi e anche oggi si continua a tagliar legna, vendendola per uso domestico o industriale. Sebbene, ai nostri tempi, questo mestiere sia molto faticoso, anticamente lo era ancor di più perché tutto era fatto manualmente e senza l’ausilio dei moderni mezzi meccanici. Riportiamo l’intervista fatta al signor Antonio Lepera che appartiene a una delle famiglie di boscaioli più antiche di Longobucco.

Il signor Antonio Lepera ha 47 anni e abita a Longobucco dove svolge il lavoro di collaboratore scolastico. Il lavoro di boscaiolo lo ha affascinato sin da ragazzo, quando suo nonno, e poi suo padre, lo portavano in giro per le foreste e gli insegnavano i nomi degli alberi.
Da allora il bosco è molto cambiato, la mano dell’uomo ha distrutto molte cose. Quella che non è mutata è la passione con cui Antonio ama il bosco e la montagna.
Un tempo, nel tagliare gli alberi si era molto attenti a non sciupare il terreno, si osservavano gli animali, nei loro gesti, e si aveva rispetto per loro e per tutta la natura.
Oggi non è più così.

Non bisogna mai dimenticare le parole del Presidente Carlo Azeglio Ciampi:

“Prendersi cura della natura significa prendersi cura di noi stessi”

Anna Pia e Sara hanno rivolto ad Antonio alcune domande:

Quale attività svolgeva da ragazzo nel bosco?

Aiutavo mio padre a tagliare gli alberi e ripulirei boschi, senza però distruggere la natura.

Era/è un lavoro duro?

Ricordo che era e penso ancora sia un lavoro molto pesante e pericoloso

Il bosco ha dei vincoli di protezione?

Certo. E’ tutto certificato dalla delibera del Corpo Forestale dello Stato che assicura la salvaguardia dei boschi e la ricrescita degli alberi più giovani.

Che cosa significa per lei conoscere un bosco?

Vuol dire stare in contatto con la natura e apprezzarne le qualità

Quali animali si incontrano?

Soprattutto scoiattoli, quelli neri della Sila, sono bellissimi; da ammirare specialmente quando saltano da un albero all’altro, oppure quando rodono le pigne dei pini. Incontriamo pure qualche lepre, poche perché sono in via d’estinzione a causa dei pesticidi che usano nei campi di patate; e ancora cinghiali, volpi e a volte il lupo.

Quanti alberi si riescono a tagliare in un giorno e quanti se ne piantano?

Dipende da com’è situato il terreno. Se è una zona folta, due bravi boscaioli riescono a tagliare circa 150 q. Gli alberi nascono in modo naturale e spontaneo; altri sono piantati dall’uomo per rimboschire le zone con scarsa vegetazione.

Com’era il bosco quando lei era ragazzino?

Il bosco è cambiato tanto da allora, in peggio purtroppo. Un tempo lo smacchio del legname era fatto solo ed esclusivamente per mezzo di animali, buoi, muli o cavalli. Oggi purtroppo si sta verificando un fenomeno in crescita che è quello delle ruspette con il verricello che quando passano provocano danni.

Per fortuna nelle nostre zone gli alberi non sono in via di estinzione, anche se ultimamente c’è stato un po’ d’accanimento contro querce e lecci, ma questi rinascono di nuovo dal ceppo.

Per quanto riguarda gli animali è la lepre che sta scomparendo per via dei molti medicinali usati nell’agricoltura.

Che magia svegliarmi nel bosco!
Accarezzare il rumore dei rami e
sentire sulla pelle la carezza del vento.
Camminare fra i sentieri come un esploratore
e sorridere incantato…
Scorgere lo scoiattolo che salta silenzioso
e ammirare il lupo che da lontano osserva
per non disturbare questa magia.
Se alzo gli occhi vedo i grandi Pini
fino al cielo,
e giù a terra tanti variopinti fiorellini
che sembrano sorridere al passante.
Forse il tempo si è fermato…
la mano dell’uomo non ha modificato
la “Silva” di un tempo
E’ un’orchestra di suoni silenziosi
E’ la natura che canta
Sappiamola ascoltare.


Da lontano vedo una montagna
Un amico mi accompagna
Mi inoltro in un sentiero
Non ci credo, è proprio vero!
Un fiore è già sbocciato
Osservo ciò che lui ha creato.
Arrivati alla montagna riposiamo
Così il panorama osservare possiamo
E’ tutto meraviglioso!
Scendiamo a valle, ma a un tratto ho paura
L’uomo sta rovinando la pianura
Là dove c’era un bambino allegro e spensierato
Ora c’è un’industria costruita da un uomo spietato
La madre di Dio ha creato il meraviglioso
La mano dell’uomo ha rovinato ogni cosa


Passeggio nel bosco a primavera
e torno a casa solo la sera.
Ma nell’arco della giornata
quante cose ho osservato!
Vedo gli scoiattoli qua e là saltare
e gli uccelli nel cielo volare,
gli orsi dal letargo  che si stanno per risvegliare,
e le farfalle sui fiori svolazzare.
Poi il sole
con i suoi caldi raggi
alberi e prati fa riscaldare.
E gemme, foglie e viole
fa germogliare
perché tutte insieme possano ballare
nell’incanto di un paesaggio naturale.

Mio nonno mi raccontava che una volta, quando non c’erano mezzi di trasporto, si partiva alle tre di notte, a piedi, per raggiungere il posto di lavoro.

Questa è una storia di circa quarant’anni fa, quando i nostri nonni hanno cominciato a fare il “rimboschimento” in tutto il territorio comunale.

Infatti per impedire che le grandi piogge facessero danni e per la custodia stessa del bosco, si cominciò a usare questo sistema.

In primavera si mettevano le piante nuove e, per evitare frane o dissesti, si realizzavano i gabbioni, grosse gabbie metalliche riempite di pietre, addossate alle montagne.

Spesso questi lavori hanno impedito catastrofi naturali, come quelle avvenute laddove non esiste il rimboschimento.

Purtroppo oggi sono rimasti pochi operai e i boschi, un tempo rigogliosi e vitali, ora sono preda di piromani che distruggono la natura senza pensare che il danno lo fanno a loro stessi.