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Tre giornate di incontri, spettacoli, concerti, reading, film, workshop e laboratori che invaderanno il centro storico di Rimini dal 12 al 14 luglio in occasione della 3/a a edizione di Lonely Planet UlisseFest, la Festa del viaggio. L’UlisseFest 2019 sarà l’occasione per portare in scena la passione che accomuna chi ama scoprire il mondo e per iniziare, un nuovo viaggio che si svolgerà sul palco di Piazza Cavour, passando dall’iconico Cinema Fulgor fino ad arrivare per la prima volta al Teatro Galli, riportato allo splendore originario dopo oltre 70 anni di chiusura.
“Perché viaggiamo?” è il tema di quest’anno: un interrogativo che ispira alla riflessione su una delle dimensioni più importanti e costitutive della natura umana, il viaggio. La domanda verrà rivolta agli ospiti: scrittori, artisti, fotografi, giornalisti, uomini di cultura e semplici viaggiatori. “Sempre più persone viaggiano a dispetto di crisi economiche e timori per la sicurezza – dice il direttore artistico Angelo Pittro – l’industria del turismo non è mai stata così fiorente ma, allo stesso tempo, l’eccesso di turisti rappresenta uno dei grandi problemi del mondo contemporaneo”.
“Chi viene a Rimini – dice il sindaco Andrea Gnassi – fa un viaggio per arrivarci ma, una volta qui, fa anche un viaggio in luoghi fisici e luoghi dell’anima che attraversano i secoli nell’arco di poche centinaia di metri: l’età imperiale romana, il Trecento pittorico riminese e il castello malatestiano, il teatro verdiano, Federico Fellini, l’industria delle vacanze”.

“Da anni Rimini e Lonely Planet sono punti di riferimento ideali per chi sogna un viaggio – commenta l’assessore al Turismo regionale Andrea Corsini – Sono ambedue prodotti capaci di mettere insieme lifestyle e food, così come storia e cultura, servizi e divertimento, offrendo contenuti autentici, originali e memorabili. Entrambi offrono esperienze di viaggio memorabili per i viaggiatori di tutte le età”. UlisseFest è organizzato da Edt, partner italiano di Lonely Planet, in collaborazione con il Comune di Rimini.

Sassi. Ma cosa sono questi sassi di Matera? Mio figlio più piccolo pensava ad ammasso di rocce sparse ovunque e, quando gli ho fatto vedere invece, che si tratta anche di insediamenti abitativi è rimasto sbalordito. Forse anche un po’ male. Il Sasso Caveoso, quello Barisano, le Civite, la Cattedrale, la città vecchia. La vita. I sassi sono tutto. Ed è proprio questo che rende unica Matera. Bianca come se ci fosse sempre la neve. Sono proprio contenta di averla riscoperta grazie al titolo di Capitale europea della Cultura!

E sto abbracciato a te
senza guardare e senza toccarti.
Non debba mai scoprire
con domande, con carezze
quella solitudine immensa
d’amarti solo io.
(Pedro Salinas)

La protagonista della storia è una donna della quale non ci è dato conoscere il nome. Lei stessa racconta con lucida esattezza e in modo asciutto, le motivazioni che l’hanno portata all’assassinio del marito. Il racconto “E’ stato così” (edito da Einaudi), si apre con la chiara, netta ammissione del misfatto: “Gli ho sparato negli occhi. Ma già da tempo pensavo che una volta o l’altra gli facevo così”.

Prima d’incontrare Alberto (suo marito), era un’insegnante giovane trasferitasi da poco in città. Una donna semplice che mai era stata notata e corteggiata. Le attenzioni dell’uomo che le regala dei guanti, fa con lei lunghe passeggiate, l’ascolta e le parla e le fa un ritratto che fa esclamare al dottor Gaudenzi (colui che li ha presentati): “Alberto non sa fare il ritratto alle donne che gli piacciono”; la persuadono che lui provi un forte interesse nei suoi confronti. L’idea di essere amata la spinge piano piano a pensare sempre più ad Alberto facendole desiderare di vederlo più spesso. Solo sua cugina Francesca, più sveglia di lei, l’avverte che l’uomo potrebbe essere non interessato ma non le presta ascolto.

Quando Alberto comincia a ritrarsi non scrivendole per tutta l’estate (che lei trascorre nel suo paese natio lontano dalla città), la protagonista intristita, comincia a pensare di amarlo: “E così allora mi sono innamorata di lui aspettandolo”.

Tornata, lo cerca e gli confessa il suo interesse sicura che lui la ricambi. Così non è: l’uomo le risponde di essere innamorato di Giovanna, una donna che conosce da anni, sposata e madre di un figlio, della quale è stato innamorato, senza successo, anche il suo caro amico Augusto. Paradossalmente, Alberto le propone di sposarlo. L’angoscia di una vita solitaria e vuota, la paura di tornare indietro al tempo in cui non lo conosceva, la spingono ad accettare nonostante lui non la ami.

Quali sono le motivazioni dell’uomo? Le stesse di lei: vuole scappare dalla solitudine e dall’angoscia di vivere in continua attesa di Giovanna. Gli sembra che costruendo un nuovo ambiente famigliare, mettendo al mondo dei figli, sposando una donna che gli voglia bene, possa mitigare la sua inquietudine. Così non accade. Il matrimonio finisce per essere una trappola per entrambi: lui appena può scappa da Giovanna; lei finisce disperata ad aspettare che torni. Neanche la nascita di una figlia riavvicina i coniugi, anzi, è la sua morte prematura a compiere il miracolo.

Nonostante le nuove attenzioni del marito, lei vive nella continua paura che lui un giorno possa partire con Giovanna e non tornare più. Comincia così a pensare di utilizzare la rivoltella che Alberto da giovane, in un impeto di disperazione, aveva comprato per suicidarsi nell’impossibilità di vivere con l’amante.
Se Alberto fosse morto, lei avrebbe posto fine all’attesa. Quella sua che la costringeva a casa a domandarsi se lui sarebbe tornato. Quella di lui e di Giovanna che si chiedevano quando avrebbero potuto rivedersi.
In questo romanzo breve del 1947, la Ginzburg ci regala il ritratto di cinque solitudini e di come per sfuggire all’infelicità, pur prendendo strade diverse, tutti falliscono.

è stato così
La copertina di “E’ stato così” edito da Einaudi

E’ la dura presa di coscienza della protagonista che vive un mondo interiore fatto di sogni e fantasie. Una donna che non ha i coraggio di vivere davvero e si aggrappa ad un’illusione.
E’ la malinconica vita di Alberto che ama Giovanna che non può avere. Che vive assoggettato alla madre anziana che lo tormenta e lo rassicura, figura forte e stabile che lo costringe ad un affetto e ad un focolare domestico al quale vorrà tornare, dopo lei morta, sposando una donna affidabile che non ama:

“Sei la sola cosa che ho,ricordalo. L’ avevo ricordato e quelle parole m’avevano aiutato a vivere un po tutti i giorni. Ma perdevano la loro dolcezza a poco a poco come un nocciolo di prugna succhiato per troppo tempo”.

E’ la consapevolezza di Giovanna che confessa di aver sbagliato a sposare un uomo che non riusciva a capirla: “Con mio marito è andato sempre male. E’ andato subito male, fin dai primi tempi. (…) Non abbiamo niente da dirci e mi trova stupida e strana”.

Giovanna che non lascia andare Alberto perché è l’unico con il quale riesce ad essere se stessa. La ricerca della felicità di Francesca che della sua giovinezza libera ha fatto quasi una missione disperata tra feste, bei vestiti, relazioni fatte di fuochi fatui e l’assoluta fermezza nel non volere una vita conforme a quella della protagonista, sua cugina.

Infine Augusto che s’innamora di donne che non potranno mai ricambiarlo come Giovanna e Francesca, e soffoca la sua tristezza nel lavoro, scrivendo libri,nel silenzio comprensivo di amico e confidente degli altri personaggi.

Come un infernale circolo che inizia con la solitudine e finisce nella solitudine, il racconto della moglie omicida ci suggerisce forse che più ci costringiamo a non guardare in facciata la verità, più la verità ci presenterà il conto alla fine. Il nostro bisogno di consolare i vuoti non può essere riempito da recite in cui noi decidiamo quale parte affidare alle persone che vivono intorno a noi. La verità che tanto agognava la protagonista, era sotto ai suoi occhi da sempre e nulla l’avrebbe cambiata. Lo sparo negli occhi del marito, acceca ed oblia la vita di lui, e libera lei dall’assillo continuo di venire messa di fronte alla realtà delle cose.

In piazza a Matera. Quello che mi ha colpito del mio viaggio a Matera è proprio il concetto di “piazza”, di slargo. Ce ne sono tantissime in effetti. Basta farci caso. Non ricordo i nomi, inutile girarci intorno, ma osservo che ci sono tanti luoghi di aggregazione spontanea. Tante “piazze” appunto. C’è quella con la statua del pianoforte dove si raggruppa tantissima gente. Lì vicino c’è anche il palazzo con la sede della Fondazione che ha gestito tutta l’organizzazione della Capitale europea della cultura.

C’è poi quella con la grande affacciata sui sassi. Bellissima proprio perché bellissima è la sua vista. E poi, ancora, lo spiazzo davanti alla sede della Curia. Mi colpisce tutta questa conformazione urbana perché mi dona l’idea di raggruppamento di gente che insieme si ritrova e che scopre e riscopre questa bellissima città.

«Un vecchio e un bambino si preser per mano e andarono insieme incontro alla sera» così nella canzone di Francesco Guccini.

Le radici e il frutto, la Storia e l’identità, il presente e il futuro, così come le Comunità locali che sono la sintesi di tutto ciò, un patrimonio inestimabile materiale e immateriale. Per tutto questo nasce il progetto “Le Comunità Rigeneranti” presentato a Trebisacce il 30 maggio 2019 presso l’Istituto E. Aletti.

Comunità rigeneranti, economia circolare e sociale, coesione, condivisione e sviluppo locale partecipato sono queste le parole che hanno animato l’incontro. Un evento promosso dal CRU UNIPOL e quindi dalle associazioni datoriali aderenti, insieme con il Comune di Trebisacce e con Officine delle Idee inserito nella programmazione del Festival dello Sviluppo Sostenibile di ASviS.

Un incontro che ha visto la partecipazione di tutte le forze territoriali: politiche, sociali, istituzionali compresa la chiesa con l’intervento di apertura di monsignor Francesco Savino, vescovo di Cassano allo Jonio: «Una giornata che è un punto di partenza… Che possa davvero farci essere Comunità rigeneranti perché in Calabria è la giusta visione delle cose – dice il vescovo – Da questa visione bisogna passare ora alla missione. Questa è la vera grande sfida che tutta l’Europa deve affrontare con la coesione sociale, con un lavoro che sia pulito e solidale contro le ingiustizie sociali. Le Comunità devono condividere e partecipare, rigenerarsi per generare processi di cambiamento partendo dal basso. Questa è la vera sfida delle sfide».

Non un convegno, come sottolinea Antonio Blandi di Officine delle Idee, ma «un tavolo di lavoro teso al confronto per confrontarsi e condividere il progetto “Le Comunità Rigeneranti” un modello di sviluppo innovativo finalizzato al coinvolgimento attivo delle Comunità locali, per attivare processi di rigenerazione economica e sociale delle aree interne e dei borghi. Un progetto che dall’Alto Jonio cosentino lancia un messaggio a tutta la Calabria e alle regioni che si affacciano sul Golfo di Taranto (Basilicata e Puglia), per la costruzione di un grande spazio di confronto su economia sociale, turismo, cultura e risorse ambientali (mare e montagna)».

Un progetto promosso dal CRU UNIPOL, come ribadito da Aleardo Benuzzi responsabile dei Consigli regionali Unipol. «I Consigli regionali Unipol si preoccupano di sostenere e creare modelli di sviluppo sostenibile che mettano la persona al centro, i membri del CRU UNIPOL sono i “corpi intermedi” della società civile che producono partecipazione – dice l’esponente CRU – Non esiste la possibilità di sviluppo se non si coinvolgono tutte le forze sociali».

Un percorso condiviso dalle istituzioni locali, come ha sottolineato Franco Mundo Sindaco di Trebisacce. «L’Alto Jonio – ha spiegato il primo cittadino – è un territorio maturo, coeso, pronto per la sfida del futuro, consapevole che solo se c’è la partecipazione delle comunità si può dare vita a reali progetti di crescita e sviluppo».

Un progetto condiviso anche dal Parco Nazionale del Pollino, il cui presidente, Mimmo Pappaterra, ha ribadito che l’ente è pronto a fare la sua parte: «Il Parco vuole essere protagonista in questo progetto, perché vogliamo tutelare, promuovere i nostri luoghi ma soprattutto i 170 mila abitanti che vivono in questo territorio».

E, su questa strada, ci sono anche le istituzioni regionali che, attraverso l’intervento di Franco Rossi, assessore alla Pianificazione territoriale ed urbanistica; di Mauro D’Acri delegato all’Agricoltura e di Angela Robbe assessore al Lavoro e welfare, hanno condiviso il progetto e hanno sottolineato la disponibilità a partecipare alle attività, ricordando che il progetto delle “Comunità Rigeneranti” è in piena sintonia con Agenda 2030 che parla di persone al centro, di umanesimo dell’economia. Uno dei principali obiettivi è proprio quello di dare risposte ai cittadini coinvolgendoli.

Dai 20 Comuni dell’Alto Jonio cosentino può nascere una nuova narrazione della Calabria, o meglio, dall’Alto Jonio torna a farsi sentire la vera Calabria: quella dei nostri genitori e nonni. Operosi contadini, pastori, artigiani, medici, avvocati, professionisti che di fronte alle difficoltà hanno risposto con forza, determinazione, passione rimboccandosi le maniche. Una regione orgogliosa, protagonista e fautrice del proprio futuro contro l’assistenza e la sussistenza. Il primo progetto pilota che partirà a breve è quello che coinvolge la comunità di San Lorenzo Bellizzi.

Ecco perché piace il progetto “Le Comunità Rigeneranti” e perché è riuscito a mettere insieme allo stesso tavolo relatori di grande esperienza non solo calabresi, ma anche provenienti da tutta Italia. Ognuno con storie importanti: Alberto D’Alessandro, già direttore del Consiglio d’Europa, Roberto Calari di Culturmedia Legacoop, Marilena Viggiano, dirigente scolastico Istituto E. Aletti, Dino Angelaccio, presidente di Itria, Vincenzo Farina presidente di Confesercenti, Antonio Cersosimo Sindaco di San Lorenzo Bellizzi, Valerio Pancaldi di SCS, Michele Calvosa architetto, Salvatore Modaffari di Cantieri di Imprese, Stefano Banini direttore del Cursa.

Tutti pronti a complimentarsi e a rendersi disponibili non solo a partecipare e sostenere il progetto, ma a divulgarlo come buona prassi da duplicare su scala nazionale e internazionale.

Le comunità si rigenerano e rigenerano il futuro.

Matera da mangiare, da ascoltare, da vedere. Da ricordare. Un anno vissuto a Matera è una cosa che mi capita da tutta la vita. È qui che sono nata. È qui che ho visto, più di quarant’anni fa ormai, mutare i luoghi e le persone in meglio. Una volta ci consideravano poco. Me lo ricordo anche se ero piccola. Erano i primi anni Novanta. Il tempo in cui qualcosa iniziava a muoversi e la speranza sarebbe arrivata da lì a poco. La speranza della rinascita che è culminata con questo titolo della Capitale europea della Cultura. È come se noi tutti materani avessimo una sorta di corona sulla nostra testa da portare in giro per il mondo e mentre il mondo viene a visitarci. «Sei di Matera!», ci dicono sorridenti quando ci vedono in un altro posto che non sia casa nostra. Già, casa nostra. Una casa aperta a chiunque quest’anno più degli altri anni. Certo, la convivenza mica è sempre facile: gente che entra in questa abitazione storica e preziosa con poco riguardo ce ne sta. Ma ce ne sta anche tanta che visita tutto con cura. Che si appassiona al nostro vissuto che va al di là della bellezza strutturale dei luoghi. Benedetto sia Mel Gibson e il film sulla Passione di Cristo che ha fatto vivere a Matera, a tutti noi, una nuova vita.

Ci sono nuovi amici, nuovi lavori, nuove opportunità e qui nessuno ha più paura che tutto finisca perché ormai il meccanismo è partito. Ormai siamo pronti all’arrivo del mondo e ci teniamo ben saldi sulla testa questa nostra corona di Capitale europea della Cultura che dovremo deporre a dicembre, vero, ma che resterà nostra per sempre. Perché Matera è per sempre. Perché Matera si rigenera con la Storia e con lei tutti noi che la viviamo da sempre.

Mancano ormai pochi giorni al debutto del Laterale Film Festival che si terrà dal 7 al 9 giugno a Cosenza, al Cinema San Nicola con ingresso gratuito a partire dalle 20.30. Giunto alla terza edizione, il Laterale Film Festival continua a stimolare riflessione, curiosità e sensibilità verso un cinema internazionale di ricerca. Un cinema dall’inedita potenza espressiva e dall’originalità di sguardo, fatto di film insoliti, film innovativi, film poetici che spesso, ingiustamente, non trovano l’attenzione e la circolazione che meriterebbero.

Quest’anno la selezione del Laterale Film Festival – che ha per claim “A chi fa e cerca film esuli” – conta venti film brevi, per lo più diretti da giovani autori, da Italia, Grecia, Stati Uniti, Regno Unito, Polonia, Francia, Spagna, Germania, Portogallo.

 

Laterale Film Fest 2019
La locandina del Laterale Film Fest 2019

La Macchina per esplorare l’invisibile continua a dedicarsi a opere indipendenti, autoprodotte, low-budget o no-budget, frutto di percorsi di ricerca individuali, senza distinzione di tecnica e di genere. Lavori in cui la sperimentazione di linguaggi filmici inconsueti e di nuove modalità produttive non vuole essere un puro esercizio di stile, quanto la ricerca di nuove, laterali, prospettive da cui interrogare la contemporaneità. Questa terza edizione conferma la ricchezza e il fermento del nuovo panorama cinematografico, e, come di consueto, prevede l’intervento in sala di alcuni registi, italiani e stranieri, per conversare con i curatori e con il pubblico.

Il Festival è nato infatti con due obiettivi, la valorizzazione dei linguaggi audiovisivi più creativi della scena contemporanea e la riduzione della distanza tra sperimentazione artistica e partecipazione del pubblico, e con uno spirito preciso: l’inclusione, la condivisione. Pertanto la manifestazione è a ingresso libero e non ha carattere competitivo: non si esaurisce in una proclamazione di vincitori e vinti che rischierebbe di penalizzare le opere, ma intende stimolare il confronto, creare aperture intorno a nuovi oggetti artistici intesi come oggetti sociali.

Laterale Film Festival è divenuto gradualmente un punto di riferimento per appassionati e cineasti italiani e stranieri, e per la cittadinanza locale. Malgrado i luoghi comuni vogliano il cinema “finito” per lo scarso afflusso di pubblico e le difficoltà di distribuzione, malgrado si ritengano le realtà di provincia stagnanti e isolate, alla sua terza edizione il festival continua ad ampliare e diversificare l’offerta culturale, portando sullo schermo quanto prima rimaneva ai suoi margini. Del resto, è spesso ai margini, alle periferie, ai limiti di un impero, lontano dai centri consueti, che si fanno nuovi incontri e si scoprono nuovi stimoli e saperi.

I film in selezione per questo 2019 sono Le case che eravamo, Arianna Lodeserto (Italia, 2018); Clearing, Eric Ko (Stati Uniti, 2018); The Day Before Tomorrow, Andreas Petrakis (Grecia/Francia, 2018); The Desert Forgotten, Daniel Murphy (Stati Uniti, 2018); The Dream of Lady Hamilton, Oliver Cheval (Francia, 2018); Efeso, Alberto Baroni (Italia, 2018); Esfinge, Elisa Celda & Gabriel Ruiz-Larrea (Spagna, 2018); Fortuna, Miguel Tavares (Portogallo, 2018); From Day to Night, Robert Orlowski (Stati Uniti, 2018); Horta, Pilar Palomero (Spagna, 2017); Level 305, Adriana Ferrarese (Italia, 2018); Love Canal, Elsa Brès (Francia, 2017); Lumen, Richard Ashrowan (Regno Unito, 2018); Luna in Capricorno, Ilaria Pezone (Italia, 2018); Monte Amiata, Tommaso Donati (Italia, 2018); A Picture of a Beast precedes the Beast, Marta Stysiak (Polonia, 2018); A Return, James Edmonds (Germania/Regno Unito, 2018); Two, Vasilios Papaioannu (Stati Uniti, 2018); Variazioni luminose nei cieli della città, Giuseppe Spina (Italia, 2019) Viaggio, Alex Morelli (Stati Uniti, 2018).

L’Associazione Culturale Laterale è composta da Mattia Biondi: presidente e curatore; Antonio Capocasale: vicepresidente e curatore; Mattia Leo: curatore; Viviana Raciti: segretaria generale; Giulia Gaudioso: segretaria amministrativa; Giulia Vallone: redattrice; Mattia Fiorino: redattore; Leonardo Calvano: grafico.

Fra chiese rupestri, jazzi e masserie. Questo è il riassunto della mia visita nella zona delle murgie materane. Come tanti ho approfittato della grande attenzione che si è concentrata su Matera per via del suo riconoscimento come Capitale europea della Cultura e ho deciso di visitarla insieme alla mia famiglia. Una gita di due giorni che mi ha visto andare insieme a mia moglie Gloria e ai miei figli Marta e Francesco in giro per le bellezze di Matera. Fra queste c’è sicuramente la visita al Parco della Murgia. Il percorso che abbiamo scelto si è incentrato sulla visita alle chiese rupestri e a svariati segni del passaggio dell’uomo in questi luoghi sin dalla notte dei tempi.
La nostra gentilissima guida ha deciso che la nostra partenza sarebbe stata al Centro visita di Murgia Timone che, grazie al suo belvedere, offre una vista imponente e maestosa dei sassi e della città antica. Da questo punto, con scarpe da ginnastica e pantaloni lunghi e resistenti, siamo riusciti a visitare, con grande interesse, lo Jazzo Gattini con la sua struttura rettangolare e in muratura che ospita una corte interna molto ma molto suggestiva. È qui dentro che viene anche ospitato il Centro di educazione ambientale di Matera con tante informazioni sulla biodiversità di queste zone. Da qui ci siamo spostati verso il Villaggio neolitico di Murgia Timpone con la sua trincea naturale e il fossato a forma di otto. I miei ragazzi hanno riempito i telefonini di foto con quel numero infinito che ricorda, fra l’altro, anche il titolo dell’ultimo disco dei Subsonica che è la loro band preferita. Mia moglie mi teneva il braccio stretto, stretto per paura delle vertigini. Il nostro viaggio familiare a piedi è proseguito, poi, verso Villaggio Trincerato, San Falcione e siamo arrivati sino alla Madonna delle Tre Porte. Un viaggio intenso che è piaciuto a tutta la mia famiglia.

“Chiudi gli occhi per vivere
chiudi gli occhi per uccidere”
Manuel Vazquez Montalban

Elisha ha 18 anni ed è un ebreo sopravvissuto ai lager nazisti. Ha perso tutta la sua famiglia e i suoi progetti per il futuro. A Parigi incontra Gad, un terrorista israeliano che lo convince a seguirlo in Palestina per unirsi alla sua causa: fondare lo stato di Israele. Ormai solo al mondo e senza prospettive, aggrappandosi al sogno della terra promessa, il ragazzo accetta.

In appena 85 pagine, Wiesel (edito in Italia da Guanda), ci consegna il racconto di una vittima che diventa assassino: Elisha, infatti, sarà costretto ad uccidere un uomo, John Dawson, come rappresaglia nei confronti dell’esercito inglese che avrebbe giustiziato David Moshe, uno dei capi della resistenza israeliana.

Nella notte che precede l’alba in cui dovrà uccidere il prigioniero inglese, il protagonista viene visitato dai fantasmi dei suoi genitori, del suo maestro, di un caro amico d’infanzia e di se stesso bambino:

“Tu sei la somma di ciò che eravamo. Allora,in un certo senso, giustizieremo noi John Dawson domani all’ alba. Non puoi farlo senza di noi.”

Elie Wiesel
Elie Wiesel

Elisha è l’ebreo che diventa carnefice. Il suo fallimento è quello del suo popolo. Attraverso il ricordo di coloro che hanno contribuito alla sua formazione, il giovane non trova giustificazioni per l’assassinio di un uomo. La guerra però non gli da possibilità di scelta: se risparmi il nemico, gli darai la meglio, se gli dai la meglio, lui vince, tu perdi. Il ragazzo prova vergogna per se stesso, in un uomo non vede che un uomo e non un simbolo da odiare. Eppure non una volta cerca di tirarsi indietro : il suo ideale è altissimo ed è davvero sicuro che la sua lotta sia giusta. Aspettando l’alba, Elisha capisce che uccidendo, contribuirà ad uccidere quello che  stato fino a quel momento.

Nell’impossibilità di salvare il prigioniero e la sua coscienza, sceglie la causa. Dov’era Dio quando il ragazzo era prigioniero nei lager? Non c’era. L’aveva perduto. E adesso che si appresta ad uccidere un innocente?

La notte e l’incontro con John Dawson gli danno la risposta:
(Dio è) “Nell’assenza di odio da parte della vittima verso il carnefice e del carnefice verso la vittima.”
Wiesel ci regala la tragedia ed il trionfo della natura umana che  può trasformare un ragazzo che voleva diventare filosofo in assassino ma ci insegna che anche nella più atroce delle azioni, può albergare un barlume di bene.

Una fievole speranza per chi ancora combatte, uccide e muore fra palestinesi ed israeliani.

La dodicesima edizione del Napoli Teatro Festival Italia, la terza diretta da Ruggero Cappuccio, realizzata con il sostegno della Regione Campania, presieduta da Vincenzo De Luca, e organizzata dalla Fondazione Campania dei Festival, guidata da Alessandro Barbano, presenta, dall’8 giugno al 14 luglio, una ricca programmazione che si declina tra teatro, danza, letteratura, cinema, video/performance, musica, mostre e laboratori. Il Napoli Teatro Festival Italia si pone come organismo di crescita culturale e sociale, in tal senso favorirà la partecipazione del pubblico, continuando a proporre un’oculata politica di prezzi, con biglietti popolari (da 8 a 5 euro) e agevolazioni assolute per le fasce sociali più deboli.

Il Napoli Teatro Festival Italia aprirà con un omaggio al grande regista lituano Eimuntas Nekrošius, recentemente scomparso, da sempre legato a Napoli e al Festival. A partire dalla giornata inaugurale, l’8 giugno quando al Teatro Politeama andrà in scena, alle 21.00, Zinc (Zn), allestimento di Nekrošius ispirato ai romanzi del premio Nobel per la letteratura Svetlana Aleksievič. Poche ore prima, alle 17.00 dello stesso 8 giugno, sarà inaugurata la mostra Il Meno Fortas di Eimuntas Nekrosius, a cura di Marius Nekrosius e Nadežda Gultiajeva, dove saranno esposte per l’intera durata del Festival fotografie, bozzetti, appunti e oggetti di scena dei suoi memorabili spettacoli. La mostra e lo spettacolo saranno preceduti il 7 giugno alle 20.30 dalla proiezione al Teatro Politeama del lungometraggio Eimuntas Nekrosius: Pushing the Orizon Further. Ingresso libero.

Per il terzo anno consecutivo, Palazzo Reale di Napoli sarà la sede principale del Festival, confermando l’obiettivo di valorizzazione dei beni architettonici e paesaggistici della Campania. Oltre alla biglietteria e all’Infopoint, Palazzo Reale ospiterà proiezioni, incontri, spettacoli, mostre e concerti. Il suo Giardino Romantico accoglierà il Dopofestival, curato da Massimiliano Sacchi, e vi sarà allestito il bookshop e un’area ristoro. La biglietteria del Ntfi accoglie, ogni giorno dalle 10.00 alle 19.00, il pubblico, in una sala al pianterreno. In questa sede il pubblico potrà avere informazioni sulla programmazione e acquistare i biglietti della dodicesima edizione del Festival.