Risalire il sud da sud è molto bello perché ti permette di conoscere luoghi che ti erano sconosciuti. Quattro amici, una macchina e via a partire dalla Sicilia verso Matera in auto. Toccato il Continente decidiamo di fare la Jonica. Salendo, salendo (fra un rifornimento di benzina, una visita alla toilette e una sigaretta), arriviamo al confine fra la Puglia e la Basilicata, fra la provincia di Taranto e quella di Matera dove siamo diretti anche noi come tutto il resto del mondo quest’anno. Qui scopriamo Bernalda. Ci siamo fermati. Ci siamo fatti una bella mangiata e poi ci siamo detti che era il caso di fare un giro in quello che, ci hanno raccontato, è il quarto paese più popoloso della provincia di Matera. Scopriamo il Castello che è esso stesso il cuore di Bernarda visto che, leggiamo dagli scritti che troviamo vicino all’imponente struttura, fu fatto edificare da tale Bernardino de Bernaudo, segretario del re di Napoli da cui il paese prenderà il nome. Normanni e Angioini hanno abitato questa casa. Come te lo vedi davanti, di questo castello ti restano subito negli occhi le immagini di queste tre torri. Gli studiosi dicono che fossero anche di più un tempo. Queste torri sono degli enormi cilindri che si fanno più larghi quando salgono con la struttura. Dentro ci sono tutta una serie di cuniculi che ti permettono di scappare da un posto all’altro fino ad arrivare alla Valle del Basento. Il Bernardino aveva studiato talmente bene la possibilità di sopravvivere se arroccati che fece costruire persino una decina di pozzi in ogni dove dentro al castello. Usciti dal castello, continuiamo il nostro giro nel paese e restiamo ammirati dal Convento di Sant’Antonio da Padova con dentro la statua del Cristo crocifisso che risale all’Ottocento. Dentro Bernalda poi si possono visitare anche le bellissime chiede del Carmine e quella del Duomo che fu sempre edificata da quel signorotto di de Bernaudo. Qui, fra i tanti palazzi storici e le piazze, l’influenza medievale si nota eccome. Ce ne torniamo in auto, proseguiamo il nostro viaggio nel sud Italia per arrivare a Matera. Ci sentiamo già più ricchi dentro.
Ordino un libro usato.
Arriva I “blues” di Tennessee Williams.
Titolo originale “American Blues”; copyright 1952 by Giulio Einaudi Editore; traduzione di Gerardo Guerrieri.
Le illustrazioni presenti all’interno sono tratte da fotografie dal vero di ambienti degli Stati Uniti.
Tennessee Williams nasce il 26 marzo 1914 a Columbus. Premio Pulitzer nel 1995. Attesta di sé: “I miei avi erano pionieri del Tennessee, si distinsero nelle guerre contro gli Indiani. Mi si perdoni se parlo esclusivamente dei miei avi”.
Articolato in quattro brevi dialoghi drammatici in forma teatrale:
– la camera buia
– ritratto di Madonna
– la lunga permanenza interrotta
– proibito
Ciascuno con un tema relativamente attuale considerando l’anno di nascita dell’autore. Morte, prostituzione, miseria, degrado, gli anziani come peso per la società.
Quattro racconti lucidi e “asciutti” dove la ripetizione di dodici battute strutturate sul modello della musica Blues (quasi a costituire una colonna sonora) si fanno incalzanti e si scontrano con la deludente realtà, lasciando il silenzio (pausa) l’unica alternativa per riprendere fiato e passare al livello di coscienza successivo. Al termine della lettura ci si rende conto di essere immusoniti e di star digrignando i denti da un po’.
Storie di vita vissuta, esistenza degli emarginati o di coloro che hanno preferito l’emarginazione, rispetto al confronto, per non esaminare la propria limitatezza.
Come cita Guerrieri: “la necessità della compensazione nasce negli insoddisfatti, nei delusi, in coloro che la vita ha privato di un unico bene (una famiglia, una tradizione, un amore); la privazione di questo bene travolge il loro equilibrio morale, e stabilisce una nuova tensione di desiderio, istintivo, animale, febbrile..“
NESSUNO LIETO FINE.
Ok, Matera sarà anche Capitale europea della cultura ma Aliano è una sua degna, degnissima succursale. Ad Aliano, quando vieni in visita qui, ti accorgi che è il paese della cultura. Su tutto regna il ricordo di Carlo Levi che qui è stato confinato e che ha lasciato un grande segno evidente. È normale il legame fra il posto e lo scrittore. Venne mandato qui perché antifascista in un periodo in cui l’Italia si affacciava sul baratro nero della Guerra mondiale. Carlo Levi, per chi viene ad Aliano, è assimilabile quasi ad un eroe. Un loro eroe. Uno di loro a tutti gli effetti. Basti pensare che nell’opera che lo ha reso immortale, Cristo si è fermato a Eboli, scrive il nome di Aliano come lo pronunciano da queste parti, “Gagliano”. Qui si celebra il premio che lo ricorda perché è proprio lui che ha voluto mantenere vivo il ricordo del suo rapporto scegliendo di essere seppellito qui alla sua morte, nel 1975. Ad Aliano lo amano tutti. Quando, con la mia famiglia, siamo venuti in Basilicata per le celebrazioni, abbiamo proprio scelto di fare un giro “lunare” fra le proposte del Parco letterario intitolato a Carlo Levi che ci ha portato, con ben cinque percorsi, fra i Calanchi. Queste enormi montagne fatte di rocce che ti fanno sembrare di essere da un’altra parte del mondo. Proprio in un altro mondo in realtà. A proposito di altri mondi, qui ne sono stati realizzati in celluloide. Mi racconta il signore bassino che gestisce il generi alimentari che proprio qui hanno girato non solo il film dedicato al libro di Levi, per la regia di Francesco Rosi, ma hanno realizzato qualcosa qui anche Basilicata coast to coast del simpaticissimo Rocco Papaleo. E poi qui c’è anche il Festival della Luna diretto dal poeta Franco Arminio che ogni anno porta tanta gente fra le persone che qui vivono lentamente come solo il miglior sud sa fare. Ottanta chilometri in auto e torniamo a dormire a Matera. I nostri sogni sono fatti della stessa materia dei Calanchi di Aliano questa notte.
Ore 17:33
Tu che scavi, scavi, scavi..
E dopo aver creato il buco lo colmi di ebbrezza, miseria e squallore.
La personificazione del luogo che diventa compagno. L’incessante desiderio di fuggire, l’amarezza della lontananza, l’ansiogeno ritorno e ancora la constatazione dell’involuzione che delude e, al contempo, placa.
Il rinnovamento agognato per anni, ti ha reso quasi aristocratico.
Ben abbigliato, pulito e pettinato; te ne rimani lì a fissarci tutti. Increduli e invidiosi critichiamo la tua parvenza. Ma cosa possiamo fare se pochi anni addietro eri luogo di stolti e puttane.
Fetido, sporco e denigrato. Ma i figli tuoi son cresciuti sgomitando, cercando di lavare via l’odore.
Si può cancellare l’odore di un padre?
Perché, sì, i diversi continuano a rimanere tali pur confondendosi nel mondo e associandosi a chi non li riconosce per omologarli alla società dell’OVVIO.
L’andirivieni quotidiano ha il fine di ricongiungerci.
Allo STOP: fermi tutti! Questa è terra santa!
Benedetti da un Dio che ci ha plasmati più forti e caparbi.
Meritevoli di esserne usciti indenni e colti.
Colpevoli di non averti apprezzato abbastanza e nel giusto tempo.
Ostinati nel rimediare.
Il vicolo incanala la corrente come a volerci spazzar via. E se piove sale al naso la terra. Un acre effluvio di vicende passate e sepolte. Dove il vecchio redarguisce il giovane pur non essendo uno stinco di santo.
La regola della sopravvivenza salva la vita nell’omertà del “non detto”. Mentre “il detto” è cronaca rosa spifferata dalla loggia dirimpetto con fare eloquente misto a diffidenza verso la discrezione dell’interlocutore. L’arte della strada mescolata alla retorica.
Una filosofia folcloristica che porta il tuo nome: U QUARTÌ.
Matera Città europea della Cultura è stata per me l’occasione di visitare anche la provincia lucana. Il mio peregrinare turistico mi ha portato ad assistere alla Festa del Maggio che si fa nel Comune di Accettura. La celebrazione è legata al culto di San Giuliano ed è un mix di riti religiosi e tradizionali. Viene celebrato il culto arboreo identificato appunto con il “Maggio”, che poi sono due alberi differenti identificati con il cerro e l’agrifoglio. Oggi, nel tempo moderno, il culto del Maggio viene identificato alla perfezione con quello di San Giuliano amato dai cittadini di Accettura. Nei giorni centrali della festa, dal sabato precedente la Pentecoste al martedì successivo, in paese si vive una grande festa di allegria e natura insomma. Quando la cima, appunto un agrifoglio trasportato a spalla per circa quindici chilometri dalla foresta di Gallipoli incontra in paese il Maggio, che è un cerro di quasi trenta metri di lunghezza trascinato da coppie di buoi dal bosco di Montepiano, inizia la vera festa di popolo con il compimento di quello che da queste parti chiamano matrimonio.
Questo rito avviene la domenica di Pentecoste, dalle 19 in poi, quando gli alberi si incontrano e tutto intorno si festeggia con salumi, formaggi e vino per salutare il rito. Una festa meravigliosa. Il giorno successivo, lunedì, avviene anche l’incontro fra la statua di San Giuliano e il quadro dei santi Giovanni e Paolo e martedì c’è il grande corteo per le vie del paese. Il Maggio viene innalzato mentre tutti i fedeli e i curiosi come me lo guardano. E poi, poi nel pomeriggio, vedi i più giovani che scalano questo immenso “nuovo” albero amato da tutti. Che grande sensazione!
Il matrimonio di Lotto e Mathilde. Lancelot, detto Lotto, attraente e festante, entusiasta della vita e del mondo, figlio del benessere, ma anche reduce di quella guerra interiore che si combatte con se stessi durante ogni momento di crescita, appassionato e ingenuo regala momenti di ludibrio. Mathilde, la vera eroina del libro, con un’infanzia e un’adolescenza difficile, costretta a fare i conti con una vita senza amore, si scaglia contro il mondo a muso duro; lo sfida con la sprezzante convinzione di chi è cosciente di non poter perdere nulla. Poi Lotto incontra incontra Mathilde e Mathilde incontra Lotto: “Lui l’aveva vista e con un balzo aveva nuotato nella folla e le aveva preso la mano, quel ragazzo luminoso le stava offrendo un posto per riposare”.
Il libro “Fato e Furia” si dipana attraverso le storie individuali di questi due personaggi, offrendoci l’immagine di due punti di vista intorno alla loro storia”Col dono arrivo l’amaro seme del rimpianto, il vuoto incolmabile tra la Mathilde che lui aveva visto in lei. Una questione, in fondo, di punti di vista”. Dietro ogni amore ci sono sempre due persone, due vite, due anime, due storie: una vive alla luce del sole, l’altra nell’ombra degli spiriti che lo compongono. Mathilde non ha conosciuto né l’adolescenza, né l’infanzia, è entrata subito nel mondo degli adulti. Lotto, invece, ha ben conosciuto questi due momenti di vita, approdando tardi o, forse non approdando affatto, all’età adulta.
Con questo libro Lauren Groff, non nuova alla ribalta della critica, si colloca nel panorama della grande letteratura americana, indagando la frammentareità dell’animo umano ed insegnandoci ad apprezzare la duplicità delle cose che, nell’equilibrio dei contrari, dà vita al mondo e ne mantiene la proporzione.
Con la loro unione Lotto e Mathilde ci insegnano a compensare i gap dell’altro, pur rimanendo legati alla propria intimità. Sarà proprio questo il segreto del’amore: nutrire i contrari per dar vita a perfette sovrapposizioni?
Nato nel 1967 a L’Aquila, è scrittore e/o poeta e si guadagna comunque da vivere come docente universitario di Fisica. Viaggia con riluttanza e dolore per lavoro e nel tempo e ne ricava spunti per la sua scrittura. Dopo decenni di gestazione letteraria nel 2018 partecipa al Premio InediTO – Colline di Torino vincendolo con il racconto Parole e Patate inserito in questa raccolta. Da allora la sua scrittura si condensa per intrinseca anarchia in forme più poetiche (sta lavorando a una silloge dal titolo La maglia a pallini).
In questa raccolta di racconti, sua opera prima, leggerete pagine strappate da un diario di un bambino degli anni settanta nell’Italia di mezzo, e poi una storia dalla temporalità discronico caotica di una famiglia Istriana tagliata dalle linee di faglia di foibe e alterne pulizie etniche. A seguire un “a-fresco” esteso della piazza di Jaffa dove si intrecciano storie non comunicanti di ebrei e musulmani. E poi, con una serie di salti di immagine e leggere variazioni di stile deliberatamente disorientanti, la raccolta si chiude con una collezione, rimasticazione autobiografica, di appunti di viaggio reali o dell’anima. Eppure una linea rossa si trova: il mare, la guerra come stato dell’anima, l’amore, il rosso della voluttà, l’infanzia, il racconto in prima persona, il pensiero altro, sono i canoni su cui l’autore divaga.
Andare a Matera mentre tutto il mondo la celebra come Capitale europea della Cultura 2019 è un privilegio non da poco per tutti noi. Le sue bellezze naturali piene di storia sono un patrimonio eterno di cui l’umanità gode e godrà per sempre. Fra un sasso e l’altro, a Matera ho avuto l’opportunità di visitare il Musma, il Museo della scultura contemporanea. Come tante cose che ci sono qui, il Musma è unico. È il più importante museo italiano interamente dedicato alla scultura ed è collocato nel bellissimo Palazzo Pomarici.
È l’unico museo, al mondo, ad essere ospitato in una grotta, dove esiste un connubio tra le sculture e alcuni tra i più caratteristici luoghi scolpiti nei Sassi di Matera. Bello, bellissimo. Un luogo dove gli spazi del museo convivono con ipogei permettendo così a chi visita il museo di godere anche di questa esperienza.
Uscito da pochi giorni, il nuovo romanzo di Andrea Camilleri dedicato a Montalbano sta già scalando le classifiche di gradimento e vendita. Lo scrittore siciliano, questa volta, ha messo il suo protagonista al centro della storia “Il cuoco dell’Alcyon” (anche questo edito da Sellerio).
Al commissariato di Vigàta sta succedendo qualcosa: Montalbano allontanato e costretto alle ferie, la sua squadra smantellata, in breve: qualcuno sta tentando di farlo fuori.
Proprio in quei giorni arriva al porto l’Alcyon, una goletta un po’ misteriosa, nessun passeggero e pochi uomini di equipaggio. Un giallo d’azione, quasi una spy story dove si intrecciano agenti segreti, FBI e malavita locale. Situazioni più cruente che Montalbano saprà affrontare con sangue freddo e perspicacia; Adelina, Ingrid e Livia faranno la loro parte e il commissario, quasi irriconoscibile, finirà per stupire i suoi lettori.
A Matera c’è un mix di sapori che, secondo me, viene sottovalutato. Va bene il paesaggio, vanno bene le iniziative culturali ma quanto è buono il cibo qui?
Tre cose mi hanno colpito. Anzi, hanno colpito il mio palato a voler essere sinceri. Sono i peperoni cruschi, il pane e le strazzate, dolce tipico materano.
Quando mordi un peperone crusco lo senti croccare. Un sapore che noi al nord non abbiamo. Un sapore tutto meridionale, un sapore tutto del Pollino perché questo tipo di lavorazione sul peperone lo fanno solo in Basilicata e in Calabria. Una bontà pazzesca. Peperoni liberati dai semi e poi infilati in olio caldo e si crea la magia croccante per il palato. Qui tutto il cibo sembra essere pervaso dall’elemento della croccantezza. Anche il pane lo è: croccante fuori e soffice dentro. Ho avuto la possibilità, nel mio soggiorno materano, di vederlo fare questo pane. Sembra che i fornai facciano una sorta di danza con le mani e gli avanbracci per crearlo. Poi lo metti in bocca e lo senti soffice, buono. E dura anche una settimana! Ma se i primi due alimenti sono noti, il terzo era a me sconosciuto. Si tratta delle Strazzate, i dolci di mandorle tritate. Sono dei biscotti non bellissimi da vedere ma di un sapore ottimo. Tutto qui è ottimo! Altro che Capitale europea della Cultura, io Matera la farei anche Capitale del Sapore!