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Mery Casella

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“Gold Marilyn Monroe”, che verrà più tardi riprodotto in serie nella forse ancor più famosa opera “Marilyn” del ’67, viene prodotto in seguito alla morte dell’attrice, leggenda e icona assoluta del suo tempo.

Il volto della donna è rappresentato con colori innaturali, elettrici, che appiattiscono l’immagine, tanto da diventare una sorta di cartoon. Una piattezza che pone come un velo tra l’immagine e lo spettatore, accentuando una distanza che viene ulteriormente amplificata dal campo dorato che la circonda: Marilyn così ritratta ricorda allora le icone religiose della storia dell’arte cristiana, un’icona però simbolica ma irreale, che rende impossibile l’identificazione con l’essere umano che vi è dietro il mito.

A seguito della Seconda Guerra Mondiale, i governi degli alleati divisero la città di Berlino. In questa iconica foto, il soldato Schumann si aggrappa al filo spinato, desiderando ardentemente di sfuggire alla Berlino dell’est e di distaccarsi dal conflitto.

Questa immagine rappresenta ancora oggi la forza dell’animo umano e il desiderio implacabile di libertà.

La sua storia continua ad ispirare e a ricordarci che la speranza e la libertà sono forze inarrestabili.

Un capolavoro del 1950 che ha avuto diverse copertine famose, ma la copertina che viene considerata la più iconica in assoluto è quella pubblicata a metà del ventesimo secolo dove su uno sfondo bianco abbagliante figura un occhio vitreo e illuminato in modo innaturale.

Una copertina definita raccapricciante e inquietante, che ben sintetizza le sensazioni provate dai lettori durante la lettura di “1984”, romanzo distopico per eccellenza.

Chi conosce “1984” sa che la metafora dell’occhio che scruta è atta a identificare il potere assoluto che nel romanzo incombe sui cittadini.

Nel labirinto complesso delle parole, si intrecciano le riflessioni di verità e potere, creando una danza di significati profondi.

Come afferma saggiamente ‘1984’ di George Orwell: ‘Chi controlla il passato controlla il futuro. Chi controlla il presente controlla il passato.’

In queste pagine, ci immergiamo in un mondo di pensieri inquietanti e illuminanti, mentre esploriamo il tessuto stesso della realtà e dell’illusione.

Attraverso l’obiettivo della consapevolezza, captiamo gli istanti che sfidano l’oblio e l’indifferenza. Mentre abbracciamo il potere delle idee, ricordiamo l’importanza di scrutare oltre le superfici, di sfidare la narrazione dominante.

“𝑫𝒊 𝒔𝒊𝒄𝒖𝒓𝒐, 𝒄𝒊 𝒔𝒂𝒓à 𝒔𝒆𝒎𝒑𝒓𝒆 𝒄𝒉𝒊 𝒈𝒖𝒂𝒓𝒅𝒆𝒓à 𝒔𝒐𝒍𝒐 𝒍𝒂 𝒕𝒆𝒄𝒏𝒊𝒄𝒂 𝒆 𝒔𝒊 𝒄𝒉𝒊𝒆𝒅𝒆𝒓à «𝒄𝒐𝒎𝒆», 𝒎𝒆𝒏𝒕𝒓𝒆 𝒂𝒍𝒕𝒓𝒊 𝒅𝒊 𝒏𝒂𝒕𝒖𝒓𝒂 𝒑𝒊ù 𝒄𝒖𝒓𝒊𝒐𝒔𝒂 𝒔𝒊 𝒄𝒉𝒊𝒆𝒅𝒆𝒓𝒂𝒏𝒏𝒐 «𝒑𝒆𝒓𝒄𝒉é».”

Con l’espressione “Le violon d’Ingres”, si era soliti designare un hobby, una passione che, nel suo realizzarsi, riusciva altrettanto bene quasi come se fosse il proprio lavoro.

Ed è proprio da questo proverbiale detto che Man Ray trae spunto per consacrare due delle sue più grandi passioni: la fotografia e Kiki.

L’artista immortala il corpo della giovane donna, che sembra quasi volersi celare di fronte allo sguardo indagatore dell’osservatore. La schiena, teatro chimerico che accoglie le due effe del violoncello, è mostrata quasi con spudoratezza e impertinenza, come a voler distogliere lo spettatore dal voler dirigere lo sguardo verso il volto, che timidamente si nasconde, che vorrebbe rivelarsi, ma non lo fa.

Kiki è “Le violon d’Ingres”, la passione a cui non si può rinunciare, lo strumento d’amore dell’artista. Con questa celebre espressione, Man Ray definirà anche la sua matura inclinazione per l’arte fotografica, a cui si interesserà per tutta la vita.

Egli, infatti, tenderà sempre a unire pittura e fotografia in una perfetta fusione.

𝑼𝒏 𝒂𝒇𝒇𝒂𝒔𝒄𝒊𝒏𝒂𝒏𝒕𝒆 𝒗𝒊𝒂𝒈𝒈𝒊𝒐 𝒕𝒓𝒂 𝒄𝒂𝒔𝒆 𝒂𝒏𝒕𝒊𝒄𝒉𝒆, 𝒅𝒊𝒎𝒐𝒓𝒆 𝒔𝒕𝒐𝒓𝒊𝒄𝒉𝒆 𝒆 𝒄𝒂𝒔𝒕𝒆𝒍𝒍𝒊 𝒎𝒆𝒅𝒊𝒆𝒗𝒂𝒍𝒊: 𝒃𝒆𝒏𝒗𝒆𝒏𝒖𝒕𝒊 𝒂𝒅 𝑨𝒍𝒕𝒐𝒎𝒐𝒏𝒕𝒆 (𝑪𝑺).

Il fascino antico del paese, le tradizioni culturali ed enogastronomiche e lo stile di vita dettato dai ritmi rurali, consentono di immergersi in atmosfere d’altri tempi. Elementi, questi, che gli hanno permesso di essere inserito tra i Borghi più Belli d’Italia.

𝑴𝒂…𝒄𝒐𝒔𝒂 𝒗𝒆𝒅𝒆𝒓𝒆 𝒂𝒅 𝑨𝒍𝒕𝒐𝒎𝒐𝒏𝒕𝒆?

Le viuzze e le scalinate si stringono intorno al cuore del borgo ovvero 𝐋𝐚 𝐜𝐡𝐢𝐞𝐬𝐚 𝐒𝐚𝐧𝐭𝐚 𝐌𝐚𝐫𝐢𝐚 𝐝𝐞𝐥𝐥𝐚 𝐂𝐨𝐧𝐬𝐨𝐥𝐚𝐳𝐢𝐨𝐧𝐞, un gioiello dell’arte gotico – angioina calabrese. Di pregevole ed elegante fattura sono il portale e il grande rosone della facciata mentre il campanile è decorato da una bifora.

𝐈𝐥 𝐂𝐚𝐬𝐭𝐞𝐥𝐥𝐨 normanno del XII secolo si mostra ancora oggi in tutta la sua bellezza, nonostante sia stato trasformato in un albergo. Su Piazza Tommaso Campanella è ricordato, con un monumento, il soggiorno del filosofo di Stilo nel 𝐜𝐨𝐧𝐯𝐞𝐧𝐭𝐨 𝐝𝐨𝐦𝐢𝐧𝐢𝐜𝐚𝐧𝐨. L’edificio, costruito a partire dal 1440, è arricchito da un chiostro della stessa epoca.

Sulla medesima piazza si affaccia il palazzo Pancaro (XVI secolo), una delle più antiche dimore gentilizie. Da lì, scendendo, si arriva a piazza Balbia, che nel medioevo era il luogo delle assemblee pubbliche.

Infine, non possiamo dimenticare il 𝐓𝐞𝐚𝐭𝐫𝐨 𝐂𝐨𝐬𝐭𝐚𝐧𝐭𝐢𝐧𝐨 𝐁𝐞𝐥𝐥𝐮𝐬𝐜𝐢𝐨: la struttura ospita da ben 36 anni il “Festival Euromediterraneo”, kermesse di risonanza nazionale che porta non solo il meglio del panorama teatrale, ma anche concerti e mostre di importanza nazionale e internazionale.

Joe Pernaciaro e Joseph Mugnaini crearono la copertina della prima edizione del fantascientifico “Fahrenheit 451”.

In questo romanzo distopico degli anni Cinquanta, ambientato in un imprecisato futuro posteriore al 1960, è descritta una società distopica in cui leggere o possedere libri è considerato un reato imperdonabile.

Per contrastare la pratica della lettura il governo ha istituito un corpo di vigili del fuoco che invece di spegnere gli incendi si occupano di bruciare ogni tipo di libro esistente.

Il romanzo nasce come estensione di un breve racconto intitolato “Fireman” e probabilmente la copertina originale prende spunto da questo espediente, infatti, è raffigurato un uomo disperato che si copre il volto con la mano mentre i suoi indumenti di carta stampata prendono fuoco su di lui. Si trova su una pila di libri e i bordi della copertina sono consumati dal fuoco.

Henri Matisse è rappresentato frontalmente. Dal lato destro della bocca pende un lunga e sottile pipa mentre gli occhi sono incorniciati dalla sottile montatura degli occhiali.

L’artista indossa un camice leggero privo di colletto, aperto sulla scollatura. I capelli di Matisse sono corti e lasciano scoperta la parte superiore della fronte. Il profilo del viso è coperto da una barba lunga e folta unita, in alto ad un paio di baffi che coprono, in parte, il labbro superiore.

L’inquadratura incornicia in modo molto stretto il busto di Henri Matisse tagliando il capo, in alto.

La composizione, considerando la frontalità del dipinto, è centrale e simmetrica. Il grande viso, allungato in basso dalla barba, àncora a se tutta la composizione. Il movimento discendente della linea compositiva che nasce dalla leggera inclinazione del volto di Matisse prosegue, inoltre, lungo il cannello della pipa per arrivare, in basso, al fornello che lambisce il bordo inferiore del piano dipinto.

“California Kiss” ritrae un gesto spontaneo e romantico, un bacio, immortalato al tramonto sulle rive di Santa Monica in California nel 1955.

Non è di certo la prima foto che cattura l’attimo di un bacio, ma questo scatto è diventato iconico. Un bacio sereno e pieno d’amore, dato col il sorriso, che sprigiona la gioia di vivere quell’attimo di dolcezza, la cui l’immagine viene riflessa dallo specchietto retrovisore.

Il fotografo ha sempre dato grande risalto al ruolo che “la fortuna” e il caso hanno avuto nella realizzazione delle sue fotografie più famose, come questa. In più interviste ha spesso ammesso di essersi solo trovato nel posto giusto al momento giusto, ma è anche tutto merito suo l’essere riuscito prontamente a sfruttare l’opportunità nel migliore dei modi.

Elliott Erwitt amava fotografare i cosiddetti soggetti “impossibili”, ossia quelli sfuggenti, che si muovono troppo o che subito terminano. Il suo motto è «cogliere la frazione di secondo perfetta» e ci è riuscito alla perfezione in “California Kiss”.

Roccella Ionica si specchia su una fascia dello Ionio così pulita e cristallina da vincere diverse bandiere blu e altri importanti riconoscimenti naturalistici.

La cittadina ha origini molto antiche che risalgono alla colonizzazione greca della città di Amphisya e ha preso il nome di Aracella (e poi Roccella) in tempi medievali per la sua localizzazione su una rupe che si getta a precipizio nello Ionio.

Ricca di tradizioni arcaiche, come la processione marina di SS. Maria delle Grazie e la ‘ncrinata ‘i Pasca, una vera e propria pantomima processionale che coinvolge le statue di Maria, Gesù e S. Giovanni, Roccella Jonica è una meta interessante in ogni periodo dell’anno ma dà il suo meglio in estate grazie alla spiaggia da sogno, servita da un porticciolo turistico elegante e ben organizzato e allo storico Roccella Jazz Festival – Rumori Mediterranei, che può contare su ben trentanove edizioni, ospiti di rilievo e una consolidata fama internazionale.

Il centro storico è costellato di interessanti palazzi nobiliari, ville e chiese che sussurrano storie di un antico passato. I principi Carafa abitarono nel castello fino al 1806 e tra i resti delle antiche mura di cinta e le decorazioni dei palazzi storici si scorgono le tracce dei fasti della loro corte e di quella, ancora precedente, dei Ruffo. Anche il Convento dei Minimi, costruito nel 1590 e ora sede di alcuni servizi universitari, dell’infopoint turistico e di manifestazioni ed eventi culturali di respiro internazionale, è degno di una visita.

Michael Mitchell, un famoso illustratore del ventesimo secolo, ha ideato la prima copertina del famoso romanzo di Salinger, il libro più amato dagli adolescenti americani.

Una copertina essenziale sulle sfumature del rosso, colore della passione.

Al centro è raffigurato il cavallo di una giostra che sembrerebbe pronto ad affrontare qualsiasi pericolo, sullo sfondo una città.
I colori e il soggetto rimandano sicuramente alla passionalità e al carattere di Holden Caufield, protagonista indiscusso del romanzo.

In realtà J. D. Salinger propose una copertina totalmente bianca per il suo romanzo, copertina che è stata mantenuta dall’Editore Einaudi: lo scopo di questa decisione era far sì che i lettori scegliessero il libro per il contenuto e non per la confezione.