Arrampicato su una roccia mostra tutta la sua bellezza. Con la sua facciata di tufo calcareo si specchia nelle limpide acque dello Ionio, quasi come una dimostrazione di rivincita nei confronti del mare, lo stesso che fece arrivare imbarcazioni da chissà dove sulla nostra costa. Lo stesso che accoglie le mie passeggiate, all’ombra della pietra dell’incudine, altro elemento naturalistico conosciuto come il fungo di Roseto Capo Spulico, imponente e solo come un monumento in una piazza, che domina la riva della spiaggia ai piedi del castello, dove le pietre splendono al sole e i piedi scottano, le schiene scricchiolano per non aver trovato la giusta posizione. E tra una vista sul panorama e la lettura de “L’arte di correre” di Murakami, il libro che ha occupato gran parte dei miei pomeriggi di ozio, immagino Federico II che volle a tutti i costi annoverare il Castello di Roseto nel piano dei castelli già nel 1230 e che decise di farlo diventare scrigno e custode della Sacra Sindone per diversi anni. C’è chi dice che tutto ciò sia leggenda, chi invece attesta con carte e studi alla mano che si tratti di una storia realmente accaduta.
Le mura, affrescate con disegni profani e di cui ora non vi è traccia, dell’imponente vedetta che stava lì a scoraggiare pirati ed equipaggi imprudenti, rappresentavano un luogo religioso e templare. Basti osservare la pianta trapezoidale, importante riferimento al tempio di Gerusalemme, o i nomi delle contrade intorno al maniero che ci riportano a questa similitudine con la terra santa: da Piano d’Orlando che richiama Re Artù e i Cavalieri della Tavola Rotonda alla Ricerca del Santo Graal a Piano di Salomone, il Re costruttore del tempio di Gerusalemme, fino al mar Ionio che rappresenta l’acqua del Giordano. Tutte a incastonare questo imponente simbolo della città, di cui Federico si prese cura fino all’arrivo degli angioini.
L’intensità del sole mi sveglia da questo sogno. Sono ancora in spiaggia e non ho ancora scoperto il segreto dello scrittore maratoneta. Odio lasciare i libri a metà, è come tradire un patto con me stessa.
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