Piove. Il ticchettio della pioggia risuona tra i vicoli deserti, sui lampioni, che illuminano di giallo i san pietrini, i muri di pietra, la fontana che scorre, nonostante tutto. Il vento soffia forte, e sembra stia arrivando una bufera. Anna si alza, e dalla finestra vede in lontananza la tempesta, che porta con sé tetti divelti, assi di legno, pietre. La tempesta tutto spazza, ti lascia senza fiato, ti trascina con sé, ti solleva, ti succhia l’anima, e poi ti ributta al suolo, dove cadendo puoi sentire il rumore delle ossa che vanno in pezzi. I vetri della finestra non ce la faranno a reggere, lo sa. E allora la apre e sta per chiudere le persiane esterne per evitare che la tempesta entri in casa, per la seconda volta, e la devasti nuovamente, questa volta mettendo sotto sopra oggetti e mobili, e non la sua mente, come era successo tempo prima. È una corsa contro il tempo perché veloce si avvicina. È un attimo, ma il vento incessante con forza entra mentre lei sta per sigillare la finestra. Si sveglia, sudata. Un brutto sogno. Le capitava ultimamente di fare sogni strani, cupi, in cui tutto sembrava andare in frantumi, come la sua vita.

Guardò l’orologio. Le tre. Il camino rilasciava ancora quel lieve tepore che tanto le piaceva, così si alzò, e avvolta da una coperta, si sedette sulla sedia a dondolo di fronte al fuoco, ormai diventato braci di un rosso spento.
Guardò fuori. Nessuna tempesta sembrava in arrivo, per lo meno non all’esterno.
Dentro casa si sentiva al sicuro nonostante fosse sola. In quella abitazione che fu della zia Iris, che aveva perso il marito giovane e che in paese si diceva “fosse un po’ strana”.Lo si diceva delle donne che sapevano usare le erbe per curare tutti i mali, di quelle che canticchiavano per strada, che pur senza marito uscivano di casa, e senza indossare quegli abiti neri, che dopo il primo anno di lutto – e di dolore – aveva deciso di non mettere più. Non per mancanza di rispetto nei riguardi dell’amato marito che era morto, piuttosto per rispetto di se stessa, che era ancora viva. Aveva 35 anni quando la ritrovarono fuori dalla finestra al secondo piano dove abitava con sua sorella maggiore Amanda. Il colpo che prese battendo la testa, la fece morire all’istante. Tutto fu archiviato come un suicidio, tesi avvalorata soprattutto da zia Amanda, che aveva sostenuto fin dall’inizio che la sorella avesse ripetuto più volte in sua presenza fosse stanca della vita, anche se Anna, in realtà, non ci aveva mai creduto fino in fondo. Zia Iris era sempre stata una donna allegra, aveva saputo alzarsi le maniche quando ce n’era stato bisogno, e aveva un sorriso per tutti. Sempre.Anche Anna era ritenuta una “ragazza strana”.
Anni addietro aveva fatto le valige, e da San Fili, a passo sostenuto, aveva lasciato quei vicoli per continuare a viaggiare per il mondo, dopo che l’uomo che credeva fosse quello della sua vita l’aveva manipolata a tal punto da indurle a credere di essere l’unica colpevole del declino del loro amore. L’uomo con la quale si era sentita libera di essere se stessa, la privava di quella libertà che il paese dalla mentalità ristretta dove era cresciuta le aveva sempre negato. Ma lei aveva intenzione di riprendersela, e così era partita per nuove mete, come prima di conoscere l’amore.
Poi qualcosa nei suoi sogni le aveva fatto intuire che c’era qualcosa di incompleto, qualcosa che andava sistemato, anche se ancora non aveva ben capito cosa fosse.

E Anna dava sempre ascolto ai suoi sogni, perché in un modo o nell’altro, le avevano sempre suggerito la strada migliore da prendere. Come le aveva insegnato zia Iris quando era piccola: «i nostri sogni sono sempre lo specchio di noi stessi, e quando sogniamo non vediamo altro che ciò che nella vita reale non riusciamo a vedere». Pochi giorni prima l’aveva sognata. Era seduta su di un ceppo, fuori dalla sua vecchia casa. Aveva in braccio un gatto nero, e lo accarezzava mentre lui sornione stava sulle sue gambe e faceva le fusa. Le tese la mano e le fece segno di avvicinarsi. «Morfeo è un gatto “particolare”, ma ha bisogno di tante attenzioni.» Anna fece per accarezzarlo, ma lui con un balzo elegante saltò giù dal suo momentaneo giaciglio, e sgattaiolò dietro l’angolo. La donna si alzò. «Questa volta me ne occupo io – disse mentre andava nella direzione del gatto – ma la prossima volta dovrai essere tu a seguirlo» e sparì dietro a Morfeo, mentre dalla finestra del primo piano, qualcuno chiuse velocemente la tenda, scostata per guardare la scena di sotto. E così, mentre era pensierosa per aver sognato la zia, la telefonata della madre che le diceva che zia Amanda fosse in fin di vita, le diede un po’ di pensieri, e fece la valigia per San Fili.Nonostante non fosse riuscita a dormire molto, si svegliò presto, e uscì per andare a casa di zia Amanda, che non aveva ancora visto. Trovò la porta socchiusa. La donna che si occupava di lei – Maria, una donna corpulenta ma risoluta, vestita di scuro – la vide e le fece cenno di entrare. La zia stava riposando in quel momento, e Maria approfittò per chiedere alla ragazza di rimanere fino a che lei non sarebbe tornata con le medicine. Si avvicinò al letto. Aveva un’aria sofferente, smunta, sembrava un ramo secco che sta per staccarsi dall’albero per cadere a terra, morto. Aprì gli occhi. Anna la salutò. L’anziana donna la guardò e rimase a bocca aperta, come se avesse visto un fantasma.
«Sei tornata!» disse.
«Si, sono venuta a trovarti, come stai?».
«Ti ho pensato in tutti questi anni. Lo sapevo che saresti tornata, ppi ru dì a tutti1».
«Dire cosa?» chiese Anna.
«Ma tu un ti nni si mai juta2» disse in dialetto «ti sentivo quando giravi per la casa, quando volevi farmi capire che eri qui, farmi diventare paccia3».
La giovane si accorse che la donna non stava parlando con lei, ma con sua sorella, ingannata dalla somiglianza che da sempre c’era stata tra di loro. Rimase in silenzio e la assecondò.
«Tanto in quel momento eravamo sole. Non c’era lu zitu tua4 che ti poteva difendere come faceva sempre». Zia Iris, dopo tre anni in cui era rimasta ancorata al ricordo del marito, aveva incontrato un altro uomo. In paese le voci giravano, e nonostante fossero tutti e due vedovi, a San Fili non era vista di buon occhio la storia tra l’indipendente Iris e Francesco, che lavorava il legno. Due menti libere e pensanti ai quali la vita di paese stava stretta. Ma a loro non importava, e continuavano a vedersi alla luce del sole e a desiderare di andarsene insieme, dove nessuno avrebbe potuto giudicarli.

Anche Amanda aveva spesso manifestato disappunto nei riguardi della sorella, e più volte avevano litigato. Una volta Iris, esasperata dalla sua invidia le aveva detto: «Cosa ne vuoi sapere dell’amore, tu che non sei mai stata innamorata». In realtà lo era stata, ma non lo aveva mai confessato a nessuno, perché si era innamorata di Pietro, primo marito della sorella minore. Quando anni addietro lui si era presentato a casa per chiedere la mano di una delle figlie della famiglia Rigoni, Amanda ebbe un colpo al cuore, ma lui era sua sorella che voleva sposare, e non lei. Lo amò in silenzio per anni, senza dire nulla, cercando nei suoi gesti un po’ d’affetto, che lui riservava invece alla giovane e bella moglie. Non si sposò mai. «Non ti bastava Pietro, pure Francesco volevi. E a te tutti ti vulìanu5» continuò.

La storia si era ripetuta. Francesco si era trasferito da poco da Falconara, e aveva una bottega dove faceva cornici, mobili, e intagliava meravigliose tavole in legno. Amanda lo vide per la prima volta proprio lì, e dopo tanti anni si era risvegliato in lei qualcosa che da tempo si era assopito, che le conferiva un aspetto e un carattere burbero e arcigno. Lui le aveva risposto in modo gentile, incartandole le due cornici che aveva comprato. Ma da giorni era un’altra ad aver attirato la sua attenzione senza volerlo. Gli era bastato vederla passare davanti al piccolo spazio che aveva per lavorare. Si sorrisero, e qualcosa avvenne. Quando Amanda lo seppe il mondo le crollò addosso, per la seconda volta. Per la seconda volta sua sorella sarebbe stata la “causa” della sua infelicità.

La zia Iris aveva deciso con Francesco di fare le valige e andare via, e quando lo disse ad Amanda lei andò su tutte le furie. Non poteva accettare che il sangue del suo sangue, fosse felice con l’uomo di cui lei si era innamorata, di nuovo. E così accecata dalla gelosia e dalla rabbia, mentre Iris non c’era, preparò un intruglio con le erbe che aveva trovato in casa. Non era un’esperta, non lo faceva da molti anni, ma doveva ricordarsi ancora gli ingredienti e il procedimento.

Quando la sorella tornò, ne versò in due bicchieri, fingendosi calma e pentita per la sfuriata. Iris la abbracciò e bevve il contenuto del bicchiere a piccoli sorsi, mentre Amanda faceva solo finta. Dopo qualche minuto avvertì una fitta allo stomaco. Si sentì improvvisamente la gola secca, le girava la testa. Guardò la sua “nemica”, e il suo ghigno confermò quello che temeva: l’aveva avvelenata. Tentò di urlare, ma non le uscì un filo di voce. Di scatto si alzò, ma si accasciò subito a terra per i dolori insopportabili. Amanda intanto la guardava, imperterrita, mentre un sorriso le nasceva sul viso per aver ottenuto finalmente dopo tanti anni di sofferenza, la sua vendetta. Si alzò e andò in cucina per cancellare le prove che avrebbero potuto farla scoprire, lasciando che la sorella si lasciasse morire. Iris in un ultimo atto di forza, si aggrappò allo scrittoio e si sollevò. Prese il foglio bianco sul piano, e tra i dolori lancinanti e con una debole calligrafia, scrisse le sue ultime parole, nascondendo la lettera nella mattonella sotto lo scrittoio, che da sempre era stato per lei il nascondiglio perfetto quando voleva tenere solo per se qualcosa. Morfeo sgattaiolò di fianco a lei, che esalò l’ultimo respiro. Fu poi Amanda a caricarsela sulle spalle e a buttarla dal balcone, per avvalorare la tesi che avrebbe ripetuto alle guardie e all’intero paese: «Francesco voleva partire, ma lei voleva rimanere qui a San Fili. Non sapeva cosa fare, piangeva da giorni a casa, non ce l’ha fatta e povaredda s’è jittata sutta6

«Non mi sono pentita. Mai. Te lo sei meritato. Tu che nella vita hai ottenuto sempre tutto, perché eri bella, e sapìa parlà7. A e me invece non è rimasto niente». Nella testa di Anna il bando della matassa iniziava a sciogliersi, e ogni tassello ritornava al suo posto. Era stata zia Amanda ad uccidere zia Iris, lei non lo avrebbe mai fatto. Qualcosa alle sue spalle si mosse. Un gatto nero si era adagiato sulla mensola, e la guardava con quegli occhi gialli che aveva già visto. Era il gatto del sogno con zia Iris. Con un salto si avvicinò allo scrittoio, e si mise a fare le fusa girando intorno al piede del mobiletto. Ricordandosi delle parole del sogno, la giovane si avvicinò. Chinandosi accarezzò la bestiola, che in quel momento saltò sulla mattonella, facendola traballare.

La smosse ed estrasse il foglio ormai ingiallito, rimasto ripiegato sotto il pavimento per anni, in attesa di essere ritrovato. “Amanda mi ha avvelenata con le mie erbe. Voleva Francesco. Volevamo partire e lei mi sta uccidendo. Iris. 26 gennaio 1987”.

Anna rimase di sasso. Andò al capezzale della zia. «Sei una cattiva persona, hai fatto tanto male. Per questo sei rimasta sola». Lei la guardò, forse per la prima volta dispiaciuta. In quel momento entrarono in casa sua madre e Maria. «Che è successo?» chiese la madre vedendola bianca come una carta. Le porse il foglio ingiallito dal tempo.
Si avvicinò alla finestra e guardò fuori. Le tende furono smosse da una folata di vento, che le sollevò in modo strano, per poi lasciarle ricadere. Ebbe l’impressione che il vento portasse un profumo che aveva già sentito, e che stava nei suoi ricordi di bambina, quando con zia Iris preparavano il sapone per le mani, che sapeva di violetta.


1 Per dirlo a tutti

2 Ma tu non te ne sei mai andata

3 Pazza

4 Il tuo fidanzato

5 Tutti erano innamorati di te

6 Poverina si è buttata di sotto

7 Sapevi parlare

Asmara Bassetti

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