Ancora nuda, mi incamminai verso ovest senza avere nessuna idea di cosa stessi cercando. Dopo qualche minuto, vidi in lontananza una distesa di case e luci. Mi avvicinai al paesino. Le strade erano deserte, la giornata ancora doveva cominciare. Mi introdussi furtivamente all’interno di alcuni vicoli, in cerca di qualcosa da mettere addosso. Le piccole case di pietra e fango erano attaccate le une alle altre in file scomposte. Mi avvicinai piano sotto un balconcino e rubai un vestito. Lo indossai e sentii la pelle prudere al contatto con la lana. Dopo dieci passi, intravidi degli scarponi rotti accatastasti a fianco a un barile di legno. Rubai anche quelli e li infilai con difficoltà. Sentii il cuoio premere sulle vene delle caviglie.
Non passò molto tempo, prima che dalle porte delle case cominciassero a uscire le persone. Vidi contadini impegnati nella manutenzione dei loro attrezzi da lavoro, una donna bussare ad una porta di legno che si spalancò e udii un cane abbaiare ferocemente all’interno finché la porta non si richiuse. Più avanti, un bambino intento a buttare un ciotolone di cenere dalla finestra.
Durante la mia passeggiata, mi resi conto che la gente fosse indifferente alla mia presenza. Mi tranquillizzai e pensai che, probabilmente, pur non ricordandolo, facessi parte di quella comunità.
Arrivai in una piazza esagonale. Al centro era posizionata una statua di gesso raffigurante le Erinni: Aletto, Megera e Tisifone. Le tre sorelle erano mostrate in movimento, in un atto di furia, con serpenti al posto dei capelli e occhi di fuoco. A destra c’era Aletto, a sinistra Tisifone e al centro Megera. Quest’ultima, spinta dall’invidia verso il mondo e verso le sue sorelle, cercava di farsi avanti, lasciando le altre indietro.
Rimasi folgorata dalla visione della statua. Mi domandai perché sapessi la storia delle tre streghe e come mai le conoscessi. Avvertii un tremito lungo le braccia e sentii un profumo di limone che attraversò le mie narici. Provai disgusto. Uscii fuori dalla piazza e mi accostai ad un piccolo corso d’acqua che spaccava in due il paese. Mi inginocchiai, unii le mie mani fino a formare una coppa e l’affondai nell’acqua. Sentii il liquido sbattere violentemente contro le mie mani e raggelare il sangue. Tirai su l’acqua e ne bevvi un gran sorso. La gola cominciò a lubrificarsi e le mie labbra si ammorbidirono.
Di colpo quel e gracchiare. Vidi il corvo sul tetto di una casa. Quando si voltò e incrociò il mio sguardo, spiccò il volo e si appollaiò sulla finestra di un’altra casa. Mi avvicinai e lui scattò sulla porta della casa di fronte. Mi voltai e notai qualcosa di strano: alla base di ogni finestra e di ogni porta c’erano cumuli di sale.
Ne fui attratta. Mi accasciai per terra, vicino una porta, e cominciai a contare ogni granello di sale. Uno per uno. Arrivai al millesimo granello di sale e mi stancai. Mi rimisi in piedi. Il corvo ricominciò a gracchiare finché un istinto inspiegabile non mi spinse ad arrampicarmi su una finestra. Ripresi a contare i granelli di sale, uno per uno. Arrivai al millesimo granello di sale e le mie gambe cedettero. Crollai a terra.
Mi svegliai nuda nella mia stanza. Era stato solo un sogno, pensai. Mi sentii avvolta da una sensazione di terrore. Cominciai a tastare il mio corpo, dalla testa fino ai piedi. Mi accorsi di alcune cicatrici sui talloni e cercai di ricordare come me le fossi procurate. Sono sveglia, pensai, era solo un sogno.
Percepii dei passi lenti avvicinarsi, la maniglia si abbassò, la porta si aprì. Frettolosamente, mi coprii con il lenzuolo. Era mia nonna. Fui felice di vedere i suoi occhi azzurri.
«Maggie, tutto ok?» mi chiese.
«Sì, nonna» risposi mentre sentivo l’imbarazzo di ritrovarmi nuda nel letto.
«Ti ho sentita urlare. È stato un incubo?» entrò e si appoggiò ai piedi del letto.
«Sì, credo di sì» ribattei confusamente.
«Va bene. Maggie, è l’ora di parlarti di qualcosa. Rivestiti e scendi giù, ti aspetto.»
Uscì dalla stanza e nuovamente provai quella sensazione di terrore. Cercai qualcosa da indossare e mi avvicinai alla finestra. Fuori era buio pesto, la luna piena brillava bianca al centro del cielo. Le stelle luccicavano intorno a lei, al suo cospetto. Sembrava la regina della notte, attorniata dai suoi servi.
Mi diressi al piano inferiore e trovai mia nonna con i gomiti poggiati sul tavolo della cucina. In mano aveva una tisana di erbe. Gli intrugli erano la sua specialità. Per ogni occasione aveva l’erba giusta. Si voltò verso di me e, sorridendomi, mi indicò una tazza.
«L’ho preparata per te. Melissa, malva e tiglio… magari ti rilassi dopo il brutto sogno» e bevve un sorso dalla sua tazza.
«Grazie, nonna. È piena notte, di cosa vuoi parlarmi?» presi posto vicino a lei e strinsi la tazza tra le mani.
«Maggie, stanotte dovrai andare via da qui. Non hai fatto un incubo. Ieri mattina Morgana ti ha trovata accasciata per terra, in paese. Fortunatamente si è accorta di te prima che se ne accorgesse qualcun altro e ti ha riportato a casa. Tra poco arriverà Sibilla e ti porterà via con lei, in un luogo sicuro» le tremavano le mani e a fatica sorseggiò la tisana e deglutì.
«Di cosa stai parlando? Chi sono Morgana e Sibilla?» improvvisamente mi colpì di nuovo il ronzio nelle orecchie ed ebbi un sussulto.
«Morgana e Sibilla sono nostre amiche… sono streghe. Tu sei una strega e lo sono anche io, mia piccola Maggie.»
Sgranai gli occhi e guardati sbalordita mia nonna. Mi sentii confusa e tradita. Non riuscii a porle nessuna domanda perché non capivo di cosa stesse parlando. Mi ammutolii e lei capì che avrebbe dovuto spiegarsi meglio. Si schiarì la voce e cominciò a parlare frettolosamente.
«Non abbiamo molto tempo per spiegarti. Maggie… ti chiamiamo Maggie per nascondere il tuo vero nome che è Megera. Io non mi chiamo Maddalena ma Medea. Siamo tutte streghe e siamo costrette a nasconderci. Mia piccola Maggie, non volevamo tu vivessi nella persecuzione in cui viviamo tutte noi. Non volevamo tu facessi la fine di tua madre, bruciata sul rogo. Il popolo crede che siamo esseri malvagi e sono secoli che vaghiamo per le terre del mondo cercando di sfuggire alla morte» si alzò di scatto dalla sedia e si avviò verso la porta di casa.
Ripensai al nome “Megera” e cominciai a sudare. Mi ricordai della statua al centro della piazza. Quelle tre donne con i serpenti al posto dei capelli e gli occhi di fuoco. Sono una strega e mi chiamo Megera.
D’un tratto mia nonna aprì la porta ed entrò una giovane donna incappucciata. Era Sibilla. Mi osservò dall’alto in basso e mi porse un mantello nero da indossare. Guardai mia nonna e lei annuì. Decisi di fidarmi di loro. Presi il mantello e lo poggiai sulle mie spalle. Era pesante e puzzava di pelle di vitello. Arruffai il naso e feci un grande respiro.
«Sono pronta!» dissi ad alta voce. Dentro di me sentii muoversi un’energia prepotente. Abbracciai Medea e la salutai. Non sapevo se l’avrei mai più rivista. Io e Sibilla ci incamminammo nella foresta.
Per tutto il viaggio non ci scambiammo nemmeno una parola. Finalmente arrivammo in una piccola casa di legno, immersa tra gli alberi, ben nascosta.
«Sibilla, cosa succederà?» le chiesi.
«Megera… le tue sorelle hanno combinato dei guai» mi disse preoccupata.
Tisifone e Aletto, pensai. Ma io ero cresciuta da sola con mia nonna… Medea, insomma.
«Tisifone e Aletto?» le chiesi.
«Esatto. Vedo che cominci a ricordare qualcosa. Anni fa fecero una maledizione, togliendoti i poteri e la memoria. In un certo senso, questa fu una grazia perché ti diede la possibilità di vivere una vita normale. Il problema si creò nel momento in cui le tue sorelle cominciarono a seminare morte tra gli umani. Sono diventate incontrollabili e hanno fatto scoppiare la “caccia alle streghe”. Nessuna di noi ha il potere di fermarle. Sapevamo che l’unica strega in grado di controllarle fossi tu ma senza i tuoi poteri, in questi anni, era diventato tutto inutile. Ieri Morgana ti ha trovato per terra e da lì è rinata la nostra speranza. Contavi i granelli di sale vicino una finestra prima di cadere. Noi streghe siamo costrette a farlo per poter entrare nelle case. Da lì, abbiamo capito che i tuoi poteri sarebbero ritornati» mi rispose mentre mi fece accomodare su una sedia.
«Cosa dovrei fare adesso?» domandai.
«Trovare le tue sorelle e farle ragionare. Se ciò non sarà sufficiente, dovrai ucciderle. Abbiamo perso molte streghe a causa loro» si avvicinò a un cassetto e tirò fuori una boccetta con del liquido rosso «Questo è sangue di salamandra, se le cose dovessero andare storte, basterà anche una sola goccia sui loro corpi per bruciarle vive» mi porse la boccetta tra le mani e io la conservai in una tasca.
Ci fu silenzio finché il vento non cominciò a sbattere violentemente sulle finestre e il tetto della casa si aprì. Io e Sibilla alzammo lo sguardo e vedemmo Tisifone e Aletto scendere dall’alto.
Ritrovare le mie sorelle mi face sentire in pace come se stessi delicatamente fluttuando su una nuvola. Ebbi delle sensazioni di tranquillità finché Sibilla non mi diede uno scossone, incitandomi a prendere la boccetta di sangue di salamandra.
Tisifone e Aletto si avvicinarono a me e io non ebbi paura. Nel palmo della mia mano stringevo la boccetta. Sentii una forza provenire dal profondo del mio cuore e la lasciai cadere a terra. Sul focolare vidi il corvo che mi fissò, impietrito. La boccetta si ruppe e io chiusi gli occhi.
Mi svegliai.
«Cornelia, sveglia! È tardi!» urlò mia madre dall’altro capo della porta.
La televisione era accesa, mi alzai per spegnerla e tirai fuori dal lettore un DVD. Lessi il titolo del film: La notte delle magare.
Rosa Alessia Buffone